Maria Rosa e Savina Pilliu hanno sin dal primo momento denunciato le irregolarità e tutto quello che hanno subito, trovando dall’altra parte molto spesso indifferenza e superficialità. Il loro nemico costruttore ben presto si rivela un mafioso, il cui arresto avviene anche in seguito ai loro esposti. E quando finalmente la legge dimostra di essere dalla loro parte, i cavilli burocratici non permetteranno l’ottenimento di un lieto fine.
I due autori hanno inteso riaccendere i riflettori a distanza di anni sulla vicenda dopo la ricezione della cartella esattoriale da parte dell’Agenzia delle Entrate, che chiede il pagamento del 3% dell’ammontare del risarcimento di 700mila circa che spetterebbe loro. Peccato che questi soldi le Pilliu non li abbiano mai ricevuti. Gli autori, con la vendita del libro, doneranno i loro diritti d’autore per saldare tale debito e si batteranno per il riconoscimento dello status di vittime di mafia alle due sorelle. L’ambizione è quella di raccogliere una cifra tale da poter ristrutturare le palazzine semidistrutte per affidarle ad associazioni antimafia. «Vogliamo cambiare il finale di questa storia, ha affermato Marco Lillo, il nostro auspicio è che le due sorelle possano vincere la loro battaglia di civiltà. La morale della storia è che chi resiste alla prepotenza mafiosa, anche se dopo 30 anni per colpa di uno Stato distratto, può ottenere giustizia».
Le sorelle Pilliu ebbero modo di incontrare per ben quattro volte, nei giorni antecedenti alla sua uccisione, il giudice Paolo Borsellino, che non si rifiutò di ascoltarle neanche in un momento critico come quello, dopo la morte di Giovanni Falcone.
«C’è una parte di Stato in questa storia che ha svolto un ruolo positivo, ci sono stati magistrati che hanno accolto le denunce delle due sorelle contro questo costruttore legato alla mafia, e successivamente condannato». Uno degli aspetti in cui lo Stato è invece venuto meno è il non avere riconosciuto, continua Lillo, ciò che hanno subito le protagoniste «come un danno di mafia, non consentendo loro di accedere al fondo “vittime di mafia”». E il paradosso è la richiesta del pagamento su un risarcimento che non hanno mai incassato poiché i beni della società del costruttore sono stati confiscati e l’amministratore giudiziario che ha avuto l’incarico di procedere al caso non si è mai espresso. Al danno quindi la beffa.
«Sono tantissime le storie nel nostro Paese analoghe, ma ciò che ha reso speciale le sorelle Pilliu è stata la loro tenacia, la resistenza di fronte al sopruso nonostante la paura, nonostante la sofferenza e l’ingente perdita di danaro per spese legali. Sono la rappresentazione della negazione di un diritto che lo Stato non ha saputo tutelare».