Non mi lascia dormire sonni sereni, soprattutto perché sinceramente mi sembra sottovalutato e sottostimato nella sua pericolosità e gravità.
E’ un fenomeno che scorre quasi sotto traccia, semi visibile, non invisibile, ma neppure eclatante e assordante come invece dovrebbe.
Forse perché non provoca, almeno apparentemente, l’allarme sociale che dovrebbe provocare, che meriterebbe di provocare e suscitare e invece sembra che da più parti ci sia come una placida accondiscendenza, una tolleranza, che considero estremamente pericolosa, miope e per nulla lungimirante e rassicurante.
Cosa c’entra questo col Coronavirus che ha rappresentato fin qui il protagonista di queste pagine di diario?
Credo che nella mia mente il nesso logico sia stata questa riflessione: Da qualche tempo, molto di recente, il nostro pensiero, di tutti noi esseri umani è concentrato su questa epidemia, anzi pandemia del Coronavirus, che prepotentemente, proditoriamente si è insinuato nelle nostre tranquille esistenze, scompaginandole fin dalle fondamenta, costringendoci, in brevissimo tempo, a mutare radicalmente il nostro stile di vita, le nostre abitudini più che radicate ed immutabili, immobili nella loro estenuante ripetitività, obbligandoci a dei mutamenti in brevissimo tempo, che abbiamo dovuto accettare di buon grado, che abbiamo dovuto sopportare, come assolutamente indispensabili per poter sopravvivere, indispensabili ho detto, perché senza di questi l’epidemia si sarebbe propagata, ancora più ferocemente di come ha fatto fin ora e continua a fare, mietendo molte più vittime di quelle che ha recato via con sé.
L’epidemia si è scatenata e ha raggiunto le drammatiche proporzioni che conosciamo, in tempi brevissimi, diffondendosi in tutto il mondo a macchia d’olio, risparmiando solo l’Antartide.
La rapidità, la immediatezza con cui si è diffusa, ci ha sconcertato, ci ha lasciato attoniti, ma è stata anche la nostra salvezza, perché ci ha obbligato a prendere in tempi brevissimi, provvedimenti che mai avremmo immaginato, ci ha obbligato, in un attimo a mutare radicalmente le nostre vite, senza che nemmeno riuscissimo ad accorgercene e prenderne coscienza e questa rapidità obbligata è stata la nostra salvezza, forse.
Il virus della droga, viceversa, ha agito molto più subdolamente, silenziosamente, lentamente.
Si è insinuato lentamente nel nostro tessuto sociale, con una gradualità impressionante nella sua perfidia, senza dare nell’occhio, senza creare quell’allarme rosso, che invece ha suscitato il Coronavirus, ma ci ha permesso, inizialmente, addirittura di ignorarlo, di non vederlo, o volerlo vedere, di sottovalutarlo poi, perché in fondo era scomodo essere costretti a vederlo.
Ci ha permesso, nella sua subdola perfidia, anche di convivere con lui, di trovare un accomodamento, un patto di non belligeranza, un compromesso, che avremmo dovuto comprendere subito come impossibile e invece ci siamo illusi del contrario, permettendogli di insinuarsi nel nostro tessuto sociale, fino a permearlo totalmente, soprattutto nella parte più delicata e per questo più fragile, più vulnerabile di questo, la popolazione giovanile, il nostro futuro.
In questo subdolo insinuarsi il virus ha trovato anche degli alleati, che per ingenuità, voglio sperarlo, o per tradimento, sono passati dalla parte del nemico, minimizzandone la aggressività e pericolosità e addirittura facendolo comparire come innocuo e inoffensivo, trovando in questa manovre degli sciocchi sostenitori.
E ora che il virus si è insinuato e ci ha permeato corriamo ai ripari, o meglio cerchiamo di correre ai ripari, non rendendoci conto che ormai ha contaminato il nostro futuro, i giovani, coloro ai quali dovremmo passare il testimone, quando saremo diventati troppo grandi, vecchi e deboli per continuare a portarlo, e dovremo necessariamente cederlo a chi ci segue. Ma sarà in grado di accoglierlo e sostenerlo, di tenerlo bene in alto sopra di sé?
Questo interrogativo mi angoscia e mi tormenta.
Ma perché proprio questa pagina di diario oggi?
Ieri ho visto un paziente, un ragazzo di diciotto anni, che in presenza del padre e con la massima naturalezza, mi ha raccontato di aver fatto uso di tutti i tipi di droga ma ….”ma ora dotto’ è un casino. Questo maledetto Corona, co’ la quarantena che me costringe a sta’ chiuso en casa, no’ me fa droga’ e poi la poca rrobba che se trova adesso fa schifo, no è bbona. Sse continua così è la vorta che smetto davero de drogamme…”
Dovremo ringraziare il Coronavirus per questo?