È la storia di una lunga guerra quella combattuta nel cuore del Pollino. Chiusure, riaperture, ricorsi, sì contro no, striscioni, pugni chiusi e passi indietro. Tutti uniti sotto un unico nome: Mercure. È, soprattutto, la storia di un paese stritolato tra le promesse di lavoro e progresso – le solite che hanno accompagnato, spesso con risvolti nefasti, tutta la travagliata avventura industriale calabrese – e la paura di quello che tutto questo può comportare. Il paesino si chiama Laino Borgo, uno di quei posti i cui pochi abitanti si suole definire “anime”: poco più di 1.700, secondo i dati ufficiali, quelle di questo piccolo tassello nel mosaico di uno dei tre parchi nazionali della nostra regione. Uno dei tanti che da qualche tempo si preferisce chiamare “borghi”, quasi a voler evocare chissà quale lieto e cristallizzato contesto da cartolina, e come tutti invece alle prese con spopolamento e mancanza di servizi essenziali. «Eh, ma qui si potrebbe vivere solo di turismo», sembra di sentir dire all’incauto viandante capitato per caso da queste parti. E invece no. Qui si vive – e si muore – di tutto quello di cui vivono e muoiono i paesini. Ma certo, la natura è mozzafiato e il turismo è davvero una risorsa, nella terra del fiume Lao, le cui acque sono meta prediletta di chi vuole cimentarsi in quella che è diventata una delle tipicità del posto: il rafting.
Si vive e si muore a Laino Borgo e, nel tempo che intercorre, si lotta. Lottano quelli che una centrale a biomasse, qui nel cuore del Parco del Pollino, proprio non la volevano. Quelli che oggi, alla luce di quanto emerso dall’inchiesta che ha portato a 31 arresti nel Crotonese, non possono fare altro che dire «lo avevamo detto». E se non lo dicono, lo pensano. Sta lì, scritto nero su bianco tra le informazioni della pagina Facebook del gruppo “No alla centrale del Mercure”, il riferimento a un impianto «che, viste le dimensioni non può andare a biomasse ma a rifiuti». Testimonianza di come abbia sempre aleggiato su questi luoghi lo spettro dell’inquinamento ambientale, di un’aria malsana che si congiunge a quella buona di montagna portando, verosimilmente, la malattia nell’illusione di una vita sana.