Di PASQUALE LOIACONO
Alì Babà, per chi avesse poca dimestichezza con Mille e una notte, era quel signore che, recitando la magica formula “Apriti, Sesamo”, faceva spalancare la porta della caverna dove i quaranta borsaioli avevano ammucchiato il bottino.
È logico che chi, per dieci lunghi anni, ha vissuto in certi palazzi veda come una buia eventualità un possibile trasloco: deve essere traumatizzante la scoperta che non si può essere arroganti neppure quando si grida per ordinare un caffè.
Può anche darsi che il sindaco Filippo Giovanni Sero non solo si consideri, ma anche sia il migliore della pattuglia del garofano: capiamo, sinceramente, l’amarezza di questo capo che fino a poco tempo fa era discusso soltanto da qualche pessimista prezzolato o da qualunquisti in fase di recupero. Predicava nell’onda lunga il Bernacca dalle geniali intuizioni, e si è trovato in piedi a bagnomaria.
Vede ovunque insidie, congiure e tradimenti, preme il campanello, e i devoti che accorrevano premurosi non si vedono più: lui insiste, e non sa ancora che hanno tagliato i fili.
Nessuno è preparato al congedo: guardate cosa sta succedendo a Rossano. E se chi vuol governare le masse non capisce, non sente che una stagione, anche coi suoi riti, è finita, questa è ancora una prova del fallimento; non basta che il macchinista della locomotiva metta in azione il fischio: per far capire che sta arrivando, deve anche notare che il semaforo segna rosso.
Ed è poco attendibile e opportuno, quando la protesta e il malessere dilagano, dare la colpa agli sciacalli: i quali, come è noto, si nutrono preferibilmente di carogne.
E stiamo assistendo alla menzogna assunta a sistema. La menzogna, dalle nostre parti, si può aggiustare anche con qualche Padre nostro e qualche Ave Maria.
E se il rigore protestante è quello che imponeva ai “padri pellegrini”, i fondatori, di chiamare il toro “marito della mucca” e impegna il cittadino che ha giurato a dire la verità, pensate a quante balle ci sono state rifilate dai nostri governanti locali, che non sono spergiuri, ma mentitori, oppure non sanno quello che dicono.
«Date a Cesare quello che è di Cesare», si dice, ma da noi hanno allargato, e si vede quando ci sono certi risultati elettorali, il concetto: «…e anche quello che sarebbe di Pasquale e di Vincenzo, basta che votino per noi». E via con cofanate di quattrini regalati ai parenti fino al quarto grado; agli amici; agli amici degli amici. E l’allegra brigata ingrassa, mentre Cariati affonda.
Adesso, a quanto sembra, è tempo di cambiare, perché quaggiù non solo le rondini, ma anche i conti non tornano sotto la gronda di Palazzo Venneri, ed è logico pensare e augurarsi che tra qualche migliaio di cittadini ci sia qualcuno che sappia fare le somme. Per le sottrazioni, ci sono specialisti di lungo corso.
Ma nonostante l’usura del potere, il sindaco Filippo Giovanni Sero ha saputo mantenersi al suo assunto più alto: creare e conservare una classe dirigente che fosse inattaccabile e alla quale fossero sconosciuti i vizi delle società corrotte; non un’ingordigia, non un’arroganza, non una rilassatezza, non una compiacente tolleranza, per non parlare d’altre pecche più gravi rifiutate sempre con orrore e, al caso, inesorabilmente punite: il falso; l’arricchimento indebito; lo spergiuro; lo scandalo; i quattrini assegnati per consulenze; gli incarichi di lavori pubblici agli amici; gli appalti assegnati alle ditte indicate da soggetti camuffati da persone perbene; le percentuali inventate su norme di legge abolite per favorire i tecnici dipendenti che portano a casa centinaia di migliaia di euro ogni anno mentre la gente “normale” muore di fame.
Questo è Filippo, tanto anomalo da sembrare un marziano.
E i marziani sono del tutto e in tutto somiglianti ai terrestri. Manca loro, organicamente, un solo sentimento: il pudore.