Trattasi della prosecuzione ed evoluzione delle indagini che nel giugno del 2017 avevano già portato alla notifica di altri provvedimenti cautelari a carico di S.A. di anni 52, annullati poi dal Tribunale della Libertà di Catanzaro con ordinanza successivamente cassata dalla Suprema Corte, su ricorso proposto da questa Procura della Repubblica.
Per i fatti afferenti quel procedimento penale, in cui S. A. è imputato per il reato di estorsione commessa a danno di 23 dei suoi dipendenti, questa procura aveva già chiesto il rinvio a giudizio del medesimo.
Il gruppo della guardia di finanza di Lamezia Terme, sotto la direzione di questo ufficio di procura, ha effettuato ulteriori approfondimenti che hanno consentito di accertare che i due si sono resi responsabili di altre condotte estorsive nei confronti di ulteriori 14 dipendenti.
Sono al vaglio di questo ufficio anche una serie di azioni volte ad inquinare le prove esistenti a carico degli indagati, ragion per cui sono stati sottoposti ad indagine anche due avvocati del foro lametino e la segretaria degli stessi imprenditori.
In particolare, è stato riscontrato che nel momento in cui la guardia di finanza iniziava ad assumere informazioni dai dipendenti dell’azienda agricola da loro gestita, S. A. – venuto a conoscenza delle dichiarazioni che erano state rese, oltremodo indizianti per la sua persona – faceva sottoscrivere ai suoi dipendenti degli atti di conciliazione a mezzo dei quali questi ultimi attestavano di voler rinunciare ad ogni legittima pretesa verso il datore di lavoro maturata nell’intero arco temporale del rapporto lavorativo, accettando esigue somme che l’imprenditore riconosceva loro quali asseriti emolumenti dovuti e non erogati in precedenza.
Le condizioni accettate dai lavoratori, formalmente riportate nei summenzionati processi verbali di conciliazione, sono apparse sin da subito oltremodo vessatorie per gli stessi e molto favorevoli per il datore di lavoro, in relazione a quanto emerso dalle indagini, ed è risultato evidente che trattavasi di accordi proposti evidentemente dallo stesso datore di lavoro, privi dell’indicazione chiara della res litigiosa nonché di determinatezza dell’oggetto.
Tra l’altro, se lo avessero scritto, avrebbero provato documentalmente il reato, auto incolpandosi del delitto di estorsione.
Le attività investigative condotte dalle fiamme gialle lametine hanno fatto emergere come gli atti di conciliazione fossero intervenuti proprio su iniziativa del datore di lavoro, e come i dipendenti non avessero avuto contezza del reale contenuto degli stessi.
Agli indagati è stato inoltre contestato anche il reato di autoriciclaggio, dalla data di vigenza della norma di cui all’art. 648 ter 1 c.p., in vigore dal 01.01.2015: sempre per il reato di autoriciclaggio è stata altresì ravvisata la responsabilità penale in capo all’azienda agricola da loro gestita a norma del d.lgs. 231/2001, art.25 octies.
Per tale ragione, in esito al quadro indiziario sinteticamente sopra illustrato, questa procura della repubblica ha chiesto e ottenuto dal Gip del Tribunale di Lamezia Terme il sequestro di beni fino al valore di € 835.000,00, ritenuti l’illecito profitto derivante dalle attività estorsive e di autoriciclaggio.
Il vincolo interessa sia le persone fisiche, sia l’ente societario in quanto destinatario del profitto del reato, ai sensi della recente giurisprudenza della cassazione sul punto
Le attività investigative afferenti tale operazione convenzionalmente denominata “Spartaco” possono dirsi qui concluse.
(comunicato stampa)