Di MARTINA FORCINITI
Abbassare una saracinesca, forse più di altro, contribuisce ad inaridire un territorio. E nel triangolo d’oro del nostro centro cittadino Via Enrico Fermi-Viale Margherita-Via Nazionale se ne contano almeno venti. Non sorprende, insomma, che a fare quattro passi per le vie dello Scalo ci sia quasi odore di marciume.
Quello fatto di disperazione sociale che si riflette in un deserto di vetrine macchiate di polvere, di una disoccupazione velenosa che corre lungo quartieri vuoti. Vien quasi da dire senza futuro.
E i led dell’illuminazione servono a ben poco quando non c’è vita.
Sembrano già così lontani i tempi delle atmosfere vivaci, quelle di un tessuto economico sano e redditizio che incoraggiava la capacità di spesa e i consumi quasi fossimo in un paradiso tropicale. Oggi insegne depennate, adesivi sbrecciati, sacchetti che volano nella frizzante tramontana d’aprile: è un impatto visivo all’insegna di una più che malinconica regressione.
Perché per ogni serranda sigillata, per ogni cartello affittasi che spunta quasi come una specie invasiva, in città si perde un pezzo di socialità, di cultura.
«Mai visto un periodo del genere». Un commerciante scuote la testa e ci avvisa: «Tra tasse e affitti esorbitanti, pur tirando la cinghia, a fine mese non possiamo contare su uno stipendio sicuro. I clienti latitano e non puoi neppure biasimarli se preferiscono acquistare capi da qualche decina d’euro. Così gli incassi precipitano e noi impariamo a tener bene i conti».
Fotografando la situazione, senza troppo vittimismo, non si capisce come si faccia a stare in piedi se, considerando anche solo le spese di un affitto, ci si ritrovi a fare i conti con medie oscillanti tra i 1.000 e i 1.500 euro, come in viale Margherita. Quanto tempo bisogna resistere prima di gettare la spugna?
«Devo arrangiarmi ma facendo i salti mortali. Le spese sono tante, troppe. Mentre la clientela è sempre più scarsa. Se questa è l’aria che tira, non c’è da stupirsi che tante attività commerciali della via abbiano chiuso. Guardi questa strada: anni fa era energica, vivace. Adesso i negozi aprono e chiudono dopo una manciata di giorni».
Chi ce la fa? Solo i temerari che, in alcuni casi, scelgono di lavorare in condizioni di perdita.
«Dopo tanti sacrifici, chiudere è l’ultima cosa che vorrei fare, anche se gli incassi da fame che registro non mi lascerebbero molta scelta. Si va avanti: questo è il mio mestiere, l’unica cosa che so fare».
Così quelli che una volta erano ricettacoli di mondanità, oggi sono carcasse vuote, asettiche. Non si contano più. E c’è chi scommette che molte di quelle saracinesche non torneranno a rialzarsi più.