Grande Cosenza, la città non va a votare e c’è chi stappa bottiglie di spumante. Tra brindisi fuori luogo e giubili al ribasso, il dato sconfortante del 26,01% di partecipazione al referendum per la fusione tra Cosenza, Rende e Castrolibero si è trasformato nell’ennesima conferma di un male profondo: l’astensionismo come norma e non come eccezione. E, paradosso dei paradossi, chi era contrario alla fusione incassa il risultato dell’astensione come se fosse un plebiscito a proprio favore. Una lettura tanto discutibile quanto errata, figlia di un’interpretazione distorta del concetto stesso di democrazia.
La politica, la stampa e il dibattito pubblico hanno fatto la loro parte. Trasmissioni televisive, articoli, confronti pubblici: gli strumenti per informare e mobilitare c’erano. Ma la risposta della cittadinanza è stata il silenzio delle urne. Una scelta che non è giustificabile con la semplice disaffezione verso la politica. Qui siamo di fronte a qualcosa di più grave: un tessuto sociale piegato dalla rassegnazione e dall’indifferenza, che non riconosce più il valore del voto come atto di responsabilità collettiva.
Le conseguenze dell’astensionismo: chi non vota perde il diritto di farlo? È un’idea provocatoria, ma merita una riflessione. Se votare è un diritto, è anche un dovere civico. Non esercitarlo, salvo impedimenti certificati, dovrebbe comportare conseguenze. Un sistema che toglie il diritto di voto a chi si astiene sistematicamente potrebbe sembrare drastico, ma è forse l’unico modo per ristabilire un senso di responsabilità. Non si tratta di introdurre il quorum, che spesso ha il solo effetto di annullare i risultati, ma di vincolare il diritto di partecipazione a una dimostrazione di impegno concreto.
Perché il disinteresse nei referendum? Quando si tratta di elezioni amministrative, la partecipazione aumenta. Perché? Perché nelle amministrative c’è un coinvolgimento diretto: interessi personali, legami con candidati, appartenenza a correnti o apparati. Il referendum, invece, è percepito come qualcosa di lontano, astratto. Ma questa percezione è il risultato di una visione miope e distorta: decidere su un’idea, su un progetto per il futuro, è un atto di cittadinanza che vale quanto, se non più, dell’elezione di un sindaco o di un consigliere.
A Cosenza ha vinto l’insolenza. Non quella della politica, che pur con tutti i suoi limiti ha tentato di mobilitare gli elettori. Ha vinto l’insolenza di chi ha scelto di restare a casa, di chi ha preferito il disimpegno al confronto, la rassegnazione alla scelta. È facile criticare la politica, ma cosa resta di una società che abdica al proprio ruolo? Una comunità che non si esprime non è una comunità, è un aggregato di individui senza direzione.
La strada da percorrere: educare alla partecipazione. L’astensionismo non si combatte con slogan o campagne last minute. Serve un lavoro profondo, a partire dalle scuole, per educare i cittadini al valore del voto. Serve una politica che sappia coinvolgere, ma serve anche una cittadinanza che voglia essere coinvolta. La democrazia non è uno spettacolo da guardare, è un processo che richiede il contributo di tutti.
A fronte di percentuali elettorali che ricordano le assemblee condominiali, Cosenza ha visto prevalere il “sì”, mentre Castrolibero, con il sostegno di Orlandino Greco, si è espresso per il “no”. Idem a Rende, la città dei Principe.
Matteo Lauria – Direttore I&C