CATANZARO – 5 GIUGNO 2025 – “Ci sono numeri che raccontano una realtà che spesso si preferisce non guardare. Sono i numeri del lavoro delle donne in Italia, quelli che ogni giorno disegnano i contorni di un Paese che ha ancora enormi difficoltà a riconoscere il valore e la fatica del lavoro femminile”. Con queste parole, Caterina Vaiti, Segretaria regionale FLAI CGIL Calabria, lancia il suo accorato appello in vista dei referendum sul lavoro dell’8 e 9 giugno, sottolineando l’urgenza di un cambiamento significativo per le lavoratrici.
I dati citati da Vaiti dipingono un quadro allarmante. Nel 2024, l’Italia si colloca al 111° posto su 146 per partecipazione femminile al lavoro (Global Gender Gap Report), con solo il 53,5% delle donne occupate rispetto al 70,9% degli uomini. La situazione si aggrava drasticamente con l’arrivo dei figli, portando una donna su tre ad abbandonare il lavoro dopo la maternità a causa della “mancanza di servizi, tutele e possibilità di scegliere”.
Qualità del lavoro e divario retributivo: le sfide quotidiane delle donne
La questione non si limita alla mera occupazione, ma si estende alla sua qualità. Quasi la metà dei nuovi contratti per le donne è a part-time, spesso involontario, una condizione che si traduce in “stipendio ridotto, carriera sacrificata e pensione povera”. Il gender pay gap reale, nel settore privato, tocca il 25% e aumenta con l’avanzamento di carriera e l’istruzione. Alla fine del percorso lavorativo, le donne percepiscono pensioni inferiori del 36% rispetto agli uomini, evidenziando una disuguaglianza sistemica.
Sicurezza sul lavoro: un’emergenza troppo spesso sottovalutata
Un’altra faccia di questa disuguaglianza è la sicurezza sul lavoro, che per molte lavoratrici “semplicemente non esiste”. Nei settori a maggiore presenza femminile – sanità, assistenza, cura, servizi alla persona – si registra un aumento di infortuni, disturbi da stress lavoro-correlato, aggressioni e molestie. Nel solo 2023, oltre il 26% degli infortuni mortali in itinere ha riguardato donne. Vaiti evidenzia inoltre che “quasi 2 milioni di lavoratrici, secondo l’Istat, hanno subito molestie sul posto di lavoro nell’arco della loro vita professionale”. Una realtà che, secondo la segretaria, viene “spesso sottovalutata o raccontata come fisiologica. Non lo è”.
Di fronte a queste problematiche, il messaggio che arriva dalla politica, che “sminuisce la portata del voto o invita addirittura a non votare”, è un “silenzio pericoloso”, come se i problemi potessero essere ignorati. “Rinunciare al proprio diritto di voto non è un gesto neutro. Non lo è”, ribadisce Vaiti.
Votare per un “cambio di rotta”: responsabilità e giustizia
L’8 e 9 giugno, votare ai referendum sul lavoro, conclude Vaiti, “non è solo esercitare un diritto: è un gesto di responsabilità e giustizia verso chi lavora ogni giorno in condizioni difficili, invisibili, precarie, esposte a rischi che spesso non vengono nemmeno nominati”.
È necessario un “vero cambio di rotta” per garantire un lavoro “buono, stabile, sicuro e libero da discriminazioni”, presupposto essenziale per l’autonomia economica, la dignità e i diritti di tutte le lavoratrici. Sono urgenti “scelte coraggiose a partire da misure concrete per garantire la sicurezza sul lavoro con un approccio che tenga conto delle differenze di genere nella valutazione dei rischi, dei dispositivi di protezione individuale, della prevenzione e del riconoscimento pieno delle malattie professionali e psicosociali”.
Con i referendum promossi dalla CGIL, si presenta “l’opportunità concreta di fermare questa deriva”. Votare, in questo contesto, è “un atto di giustizia verso le tante donne che ogni giorno pagano sulla propria pelle il prezzo della precarietà e della mancanza di tutele”.
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