L’intervento. Da capo popolare a leader politico: Il successo di Flavio Stasi nelle elezioni comunali

Mi permetto di scrivere la mia opinione su queste elezioni comunali che hanno visto trionfare il sindaco Flavio Stasi e le liste a lui collegate, a seguito di due autorevoli opinioni espresse prima da Lenin Montesanto e poi da Matteo Lauria. Se una persona per due volte catalizza il voto dei cittadini con percentuali bulgare, cioè tra il 60 e il 70%, non è cosa che avviene tutti i giorni. Ha ragione Lenin Montesanto nel dire che nell’identificazione degli elettori verso un leader come Flavio Stasi ci sia una specie di “uomo al comando da sinistra” che riproduce lo schema dell’uomo solo al comando di matrice di destra, perché l’elettorato della città è certamente più affine alla destra che alla sinistra.

C’era una frase che circolava tra il popolino prima delle votazioni e che io vi riferisco così come l’ho sentita: “Flavio Stasi è il Caputo di sinistra”. Questo andare dietro a un presunto capo, ossia a un personaggio che sa porsi da leader come certamente è Flavio Stasi, in realtà fa parte dell’humus culturale popolare consolidato in almeno 1000 anni di storia. Il popolo qua è sempre stato abituato a seguire dei capi, che fossero i signori di una volta o i politici di oggi, specie quando questi personaggi dimostrano polso fermo e idee chiare. Inoltre, l’affidarsi alle capacità di un singolo in un certo senso copre il vuoto della politica attuale, dove i partiti non esistono più, quindi la gente cerca una persona a cui affidare le proprie speranze. È una specie di meccanismo psicologico semiautomatico che scatta. Infatti, abbiamo assistito nella stessa urna elettorale a partiti che alle europee raccoglievano migliaia di voti e alle comunali le loro percentuali scendevano di migliaia di voti: è accaduto a Fratelli d’Italia, al PD e ai Cinque Stelle. Il voto che conta alle comunali è sulle persone e sulle liste a loro collegate.

Ma Stasi quali meriti ha per guadagnarsi i due terzi dell’elettorato? Innanzitutto, quello di aver governato nella fase non semplice della pandemia e della fusione tra le due città, esercitando un’azione amministrativa ordinaria non negativa, né alla ricerca di favoritismi e clientelizzazioni eccessive. Qualche clientelismo lo ha fatto, ma si tratta di poca roba rispetto al fatto che ha anche prodotto qualche strada migliorata, qualche contrada con servizi comunali migliorati e un’immagine di personaggio che ama sempre, almeno nell’immagine, essere vicino al popolo nella migliore tradizione sia dei dittatori, sia dei populisti.

C’è anche da dire che il confronto con la rivale giocava tutto a suo favore, dove una destra divisa tra troppi “galli del pollaio” non è riuscita a trovare una sintesi vera per tempo utile e la povera “Straface” è stata gettata nella mischia all’ultimo minuto con pochissime chances. Vorrei chiudere questa parte della mia analisi dicendo che la città ha voluto dare fiducia nuovamente a un suo figlio, a uno che sente come figlio suo, espressione genuina della città sperando che continui e migliori la sua azione amministrativa, che nel primo mandato è stata certamente indebolita da una squadra che lo circondava di persone alle prime esperienze politiche. Dico a Matteo Lauria che il fatto che quattro suoi ex assessori non siano stati riconfermati risponde proprio a questa logica: lui doveva per forza rifare una squadra nuova che godesse di maggiore stima nell’elettorato. Ma ho i miei sinceri dubbi che voglia perseguire davvero questa strada, staremo a vedere chi metterà in giunta, perché personalmente non vedo grandi differenze tra il consiglio comunale uscente e quello attuale (dove la minoranza non ha personaggi in grado di fare vera opposizione), se non che qua nella maggioranza su 15 eletti ci sono due consiglieri di provata cultura ed esperienza politica, ma tutti gli altri sono soltanto espressione di centri di raccolta di voti attraverso centri che gestiscono studi professionali, patronati o altre forme di contatto coi cittadini e non esprimono certamente centri di cultura politica, ma centri di distribuzione di risorse come purtroppo avviene in questa città, centri di assistenzialismo di vario genere.

Ora la nuova sindacatura dovrà gestire la formazione del nuovo ospedale, la realizzazione della nuova strada tra Sibari e Corigliano, la questione dell’elettrificazione ferroviaria, la questione dello scippo del tribunale e altri dossier di tipo regionale o nazionale che Stasi, se continua ad agire in solitudine, difficilmente potrà portare nel senso più utile alla città e al territorio. E qui faccio un piccolo inciso personale. Il sindaco che per due volte viene stravotato nella città ha tutti i numeri per competere per vette politiche più ambiziose, per esempio la rappresentanza politica nel parlamento italiano, posto oggi occupato dalla destra e da qualche rappresentante Cinque Stelle, cariche che non riescono a ottenere più che poco o niente per la città o per il territorio, sia per inconsistenza politica, sia perché nella politica italiana vigono regole che tendono a penalizzare il meridione.

Ora, se Stasi fa come fece Caputo alcuni anni fa che si limita a fare il leader cittadino con una mentalità neodemocristiana di accontentare un po’ qua e un po’ là, è una meteora che avrà una sua conclusione non eclatante; se invece sapesse fare uno sforzo per collegarsi ai sindaci di Cassano, Trebisacce e Mirto-Crosia per affrontare insieme la carenza nei trasporti, nell’assistenza sanitaria, nelle strutture al servizio del turismo etc., che sono problemi del territorio e non solo di Corigliano-Rossano, allora potrebbe nascere una fase nuova. Anche il dossier porto di Schiavonea è rimasto aperto, e mi augurerei che si aprisse una fase nuova dove si cominciasse a guardare al porto come veicolo per rivitalizzare la nostra economia sia commerciale e agricola che turistica e si smettesse di regalare agli stranieri le nostre risorse.

Allora, per rispondere alla domanda del titolo, la città comincia a camminare sulle sue gambe? In parte sì, perché la sua nuova storia politica dopo la fusione dei due ex comuni coincide con un affrancamento di vecchi legami con le consorterie politico-affaristiche regionali o provinciali. Ma per poter dire che la città cammina sulle sue gambe occorrono alcuni requisiti culturali che per ora mi pare manchino: qua non si tratta di intercettare altri quattrini dai magri bilanci dello Stato o dai più capienti della UE, ma di decidere se vogliamo rilanciare davvero il turismo, se vogliamo creare delle strutture migliori per la nostra agricoltura e se vogliamo migliorare le strutture di trasporto locali, oggi fortemente penalizzate, e quelle dell’assistenza sanitaria.

Per fare un esempio: se i cittadini continuano a non comprendere che è nel loro interesse e della città avere una città pulita sulle spiagge, sulle montagne, sulle vie di campagna, e se l’amministrazione non glielo fa capire in qualche modo, significa che ancora non si identificano nella città stessa, ma solo nei propri piccoli interessi di bottega. Cioè, l’immagine della città che hanno i cittadini, o almeno una buona parte dei cittadini, non è l’immagine che può diventare veicolo di sviluppo. Quindi finché questa mentalità permane e non si comprende che una città moderna ha il dovere di curare il suo biglietto da visita se vuole crescere, difficilmente crescerà. Quindi nessun sindaco, che sia Caputo o Stasi, potrà mai risollevare i destini della città se non siamo prima noi cittadini a volere questa cosa e a essere disposti a investire una parte delle nostre risorse per questo scopo. Nei paesini più o meno abbandonati della Sila Greca, se vai vedi strade super pulite, balconi fioriti, palazzi che cercano un po’ di decoro. Perché questo non deve avvenire anche a Corigliano-Rossano? Quando questo spirito potrà nascere, allora le iniziative non saranno più individuali, ma cooperative di gente che ha voglia di mettersi insieme per fare qualcosa che migliori per loro stessi e per la città e per il territorio intero. Allora si potrà dire che Corigliano-Rossano cammina sulle sue gambe perché vorrà valorizzare quello che già ha e che non deve chiedere nulla a nessuno.

Fabio Menin

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