Finora, è rimasta inascoltata ogni eccezione e nessuna possibilità di critica, ai provvedimenti governativi, perché non vediamo nessuna ragione logica, tantomeno scientifica, di dover ancora sottostare alle stesse identiche restrizioni e prescrizioni del nord Italia, o di altre regioni e rispetto al resto della Calabria. Per conferma giova evidenziare gli squilibri macroeconomici e macroscopici tra la fascia Tirrenica, molto più infrastrutturata e con occasioni occupazionali maggiori e differenti, rispetto all’area Jonica, totalmente desertificata. Basterebbe, secondo noi, analizzare solo la diffusione, la mortalità e la persistenza del virus, e le specifiche modalità con cui lo stesso ha interessato Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna, per notare la profonda diversità di penetrazione e di contaminazione con il resto d’Italia.
È del tutto evidente, per quel che ci riguarda, che l’area Jonica, ma un po’ tutta la Calabria, così come molte regioni del sud, non sono mai state, ne’ mai saranno, uguali al nord Italia, per le loro specifiche condizioni ambientali, per la densità abitativa e neppure per l’usuale utilizzo di mezzi di trasporto, prevalentemente individuali invece che collettivi, per la propria mobilità .
Inoltre, non è mistero per nessuno, la qualità dell’aria, dell’acqua ed il clima, così come pure dell economia, molto differente, rispetto al settentrione d’Italia. Tutto ciò non deriva da convincimenti personali, quanto, più appropriatamente e legittimamente, da rapporti pubblicati annualmente della Banca d’Italia, Istat, ed anche dello Svimez, che se consultati lasciano intendere l’assoluto bisogno di asimmetria nei rimedi e negli interventi, per avviare un nuova partenza, non semplicemente una ri-partenza, che gioverebbe a tutta la nazione nel suo complesso, sempreche’ si abbandonino pregiudizi e stereotipi, non più ammissibili ne’ sostenibili.
Ignorare gli studi menzionati, statistici ed economici insieme, e la loro validità, rende evidente il tentativo di dare, troppo semplicisticamente e senza alcuna visione complessiva d’insieme, soluzioni e risposte uguali per tutto il territorio nazionale, nelle stesse modalità, quando invece occorrerebbero soluzioni e rimedi più specifici e mirati, almeno per macroaree omogenee, come l’area che ci riguarda.
Si va prefigurando così l’ultimo, e più grave, dei soprusi, imposti da decenni da una politica fin qui fortemente condizionata ed orientata, in funzione degli interessi di consolidati e riconoscibili centri di potere settentrionali, che hanno sedi regionali “di rappresentanza” decentrate, a supporto di tali interessi.
Per questa complicità i vassalli sono stati ricompensati con un’apparente inclusione a corte, marginale, ma evidentemente bastevole, per determinare, pochi ed individuati arricchimenti personali e carrieristici, in netto contrasto con gli interessi dei territori e degli elettori rappresentati.
Anche in questa drammatica occasione, stiamo assistendo ad una continuata sperequazione dei rapporti di forza, tra aree privilegiate ed altre asservite, ingiustamente mortificate, a cui vengono sottratte le pur cospicue risorse, e marginalizzato, ancora di più, in nome di una presunta unità nazionale. Facendo finta di ignorare, ipocritamente che il percorso di rinascita sarà, giocoforza, più tardivo e diverso, proprio a causa della mancanza degli apparati statali, con relativo indotto, di cui queste aree sono prive, salvo lasciare la presenza di enti impositivi ed una, più o meno consistente, presenza di forze dell’ordine.
Così non sembra essere un caso che aree più densamente popolate del territorio, come l’area Magnograeca, non abbiano servizi minimi essenziali ed abbiano una economia prevalentemente, se non esclusivamente, trainanta dal settore privato nei settori del terziario, turistico-balneare, del commercio, delle attività artigianali e della produzione agricola e dei servizi a tali comparti funzionali, ed altri centri, pure più piccoli che possono contare su uffici periferici dello Stato in ambito sanitario o di giustizia, ai primi negati.
È chiaro che le piccole imprese private paiono ormai destinate a pagare il prezzo più elevato della crisi economica e sociale derivante dalla pandemia, con esiti certamente funesti per tali attività produttive. Tanto più durerà l’insistenza del virus, tanto presto bisognerà prendere atto che, per gli stessi motivi che prima della pandemia facevano della parte settentrionale d’Italia il modello di sviluppo da imitare e da realizzare nel resto del paese, adesso, ne fanno il territorio più debole e svantaggiato e probabilmente meno pronto ad una nuova partenza, peraltro pericolosissima, perché ancora basata sui medesimi processi produttivi ed industriali, mentre il Sud in genere e la nostra area in particolare, risulta essere inaspettatamente più pronto e potenzialmente capace di reinventarsi, perché non deve sostenere i costi e le lentezze di un processo di riconversione economica necessario ad altri territori.
Va da se’ che per sfruttare questo inatteso vantaggio competitivo di alcune aree, rispetto ad altre, ora è necessario, e non più rinviabile, che lo Stato faccia fino in fondo lo Stato, proprio per affermare l’interesse nazionale, avviando investimenti infrastrutturali, a pena il ritiro o il ridimensionamento dei fondi concessi proprio per realizzare tali infrastrutture al Sud. Coerentemente con tali investimenti, per la modernizzazione complessiva ed equilibrata del Paese, c’è la stringente necessità di sbloccare e spendere immediatamente tutti i fondi disponibili, europei e nazionali, fermi da anni in qualche ufficio burocratico, romano o regionale che sia, avviare i cantieri sburocratizzandoli sul modello Genova in modo da ottenere risultati immediati in vista del rilancio del mezzogiorno ed anche per evitare che l’idea europea di coesione sociale, resti pura utopia, ed anzi si trasformi in concreto ed imminente pericolo per la tenuta dello Stato e delle istituzioni democratiche .
Vincenzo Calzona — Comitato per la provincia della Magna Graecia.