Tra gli altri beni archeologici che continuano ad affluire alle Soprintendenze c’è anche il frutto delle operazioni delle forze dell’ordine a danno di scavatori clandestini e trafficanti di antichità. Se nell’immediatezza i reperti sequestrati trovano spesso alloggio negli stessi tribunali le cui procure sono coinvolte, o restano nelle stazioni dei Carabinieri/GdF, dopo la sentenza che li assegna in via definitiva allo Stato, vengono consegnati alle Soprintendenze. Ciò aggrava il dramma della carenza di depositi. Ritengo sia tempo di occuparsi di questi oggetti, non sempre ma spesso privi di qualsiasi dato di provenienza, per definirne la sorte nell’unica chiave soddisfacente: la didattica, capace di giustificare l’impegno (anche economico) profuso per acquisirli allo Stato e di trarre dal loro valore culturale il massimo risultato per la comunità mediante la musealizzazione. Ma dove? La maggior parte dei nostri musei sono vetrine parlanti del territorio in cui sorgono, legati cioè in modo inscindibile al contesto, non Wunderkammern traslabili ovunque che fanno della rarità e varietà dei manufatti esposti il loro obiettivo più alto. Se l’offerta al pubblico dei reperti privi di dati di contesto avvenisse nei primi, gli oggetti sarebbero sempre relegati in spazi marginali, ma neppure ha senso creare con essi copie anacronistiche delle stanze delle meraviglie o affidarli solo ad esposizioni specializzate di frutti di sequestri, moltiplicando le poche già esistenti. Credo che si debba accettare la sfida posta da questi materiali i cui legami con il sito di giacitura sono stati recisi, approfondirne la peculiare condizione e assumere al riguardo decisioni che assicurino ai cittadini la possibilità di crescere culturalmente anche attraverso di essi e proprio facendo leva sulla differenza incolmabile con i reperti contestualizzati.
Margherita Corrado (M5S Senato – Commissione Cultura)
comunicato stampa