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Missioni umanitarie: in Iraq anche un’infermiera strumentista originaria di Mirto-Crosia

L’associazione Emergenza Sorrisi ETS è attivamente coinvolta in missioni umanitarie, offrendo interventi chirurgici gratuiti a bambini con gravi malformazioni congenite, come la palatoschisi, che consiste in una fessura o frattura del palato o del tetto della bocca. Il suo operato si estende in circa trenta paesi, dall’Africa al Medio Oriente, per portare aiuto a chi non ha accesso a cure mediche, un servizio che da noi, seppur con difficoltà e sempre meno pubblico, è spesso considerato scontato. Tra le destinazioni raggiunte vi è l’Iraq, dove, oltre alle malformazioni congenite – tra cui il labbro leporino, più frequente a causa di matrimoni tra consanguinei – i bambini e gli adulti soffrono di importanti ustioni provocate dall’uso incauto di grandi fuochi. Questi vengono impiegati per cucinare e riscaldarsi, senza alcun sistema di sicurezza, in particolare a Nassiriya, città devastata dalla guerra e ancora in ricostruzione. Le donne, specialmente, sono molto vulnerabili a causa dei veli, perlopiù realizzati con tessuti acrilici altamente infiammabili. L’associazione si occupa di restituire non solo l’anatomia danneggiata della parte, ma anche la funzionalità stessa degli arti.

Melania Roma, infermiera strumentista all’Ospedale Maggiore di Bologna e originaria di Mirto-Crosia, ha vissuto in prima persona questa realtà, prendendo parte proprio alla recente missione in Iraq. «Abbiamo trattato centinaia di bambini, e a circa 110 di loro abbiamo restituito il sorriso», ci racconta con gli occhi lucidi. «Il sorriso – prosegue – è tornato anche ai familiari, felici per loro. La parte più toccante di questa esperienza è appunto vedere questi bambini tornare a sorridere, respirare e mangiare. Noi riceviamo più di quanto diamo, poiché siamo di fronte a una rinascita, tanto per noi quanto per loro. Loro tornano infatti a vivere insieme agli altri e come gli altri, mentre noi riscopriamo il valore della vita e il potere della gratitudine».

Equipe italiana, Ospedale Habbobi di Nassirya (foto dell’infermiere Matteo Lauriola)

Il lavoro in Iraq è complicato ulteriormente dalla drammatica scarsità di risorse. «Portiamo elettromedicali, ferri chirurgici, farmaci e presidi, insieme alle nostre tecniche, che sono molto più avanzate rispetto a quelle locali», spiega l’infermiera. L’intero team consta di circa 15 sanitari, dall’otorinolaringoiatra agli infermieri (inclusi quelli di terapia intensiva e pre-post operatorio), agli anestesisti fino ai chirurghi (maxillo-facciale, plastico e ivi residente); all’interno sono presenti anche il coordinatore clinico e il coordinatore logistico. L’equipe italiana non si occupa soltanto delle difficoltà immediate, ma si impegna parallelamente a formare quella locale, affinché acquisisca le competenze per poter intervenire in loro assenza. «Il nostro obiettivo è operare il più possibile e rendere i medici locali quanto più autonomi; a questo scopo, gli interpreti locali ci assistono nel dialogare con i pazienti, le loro famiglie e i loro sanitari», aggiunge. In particolare, l’Ospedale Habbobi di Nassirya (in foto) è diventato – attraverso la collaborazione con la suddetta associazione da oltre 15 anni – punto di riferimento nazionale per la chirurgia plastica e ricostruttiva pediatrica. La formazione erogata durante la permanenza comprende inoltre l’anestesia pediatrica, ovvero tutti i protocolli per garantire la sicurezza e ottimizzare il recupero, e l’assistenza infermieristica post-operatoria, come ad esempio la gestione delle complicazioni.

La missione è durata otto giorni, e Melania ne ricorda l’intensità: «Durante i miei minuti di libertà indossavo un naso da clown per strappare un sorriso ai bambini in sala d’attesa. In quelle lunghe giornate la stanchezza non si percepisce. L’unica cosa che conta è quanto tu riesca a cambiare la vita di un bambino e a ridare speranza a una famiglia. La loro gioia, così come il loro dolore, non ha barriere linguistiche: arriva immediatamente e non se ne va mai».

L’infermiera Melania Roma con una paziente (foto dell’infermiere Matteo Lauriola)

Come molti altri membri dell’associazione, anche Melania è tornata profondamente trasformata. «Lì capisci che tutto ciò che ci sembra dovuto in realtà non lo è affatto. Lì non hanno niente, eppure ci hanno dato tutto. Non vedo l’ora di ritornarci», conclude.

L’opera di tale associazione è possibile grazie all’umanità di più di 300 sanitari italiani che, previa selezione, si offrono in maniera disinteressata alla sofferenza degli altri, sostenuti da sponsor esterni e dalle donazioni del cinque per mille. Ogni sorriso che nasce dopo un intervento chirurgico è un segno che il mondo può ancora cambiare, un sorriso alla volta. Come scrisse Emily Dickinson: «Se allevierò il dolore di un’anima, guarirò una pena o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido, non avrò vissuto invano». E ognuno di noi ha qualcosa di buono da dare al mondo; ogni gesto che preserva la vita è un atto di fede verso se stessi e verso l’umanità intera.

Virginia Diaco

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