I numeri ed i record raggiunti e superati con la riconferma di Flavio Stasi a Sindaco della più grande Città della Calabria confermano analisi e riflessioni diverse, in alcuni casi previste, scontate, in ogni caso quasi tutte condivisibili.
Ne ho parlato più volte in passato, in tempi non sospetti. Ma con gli esiti elettorali dello scorso 10 giugno che lo hanno consacrato vincitore assoluto e senza nessun tipo di equivoco, credo se ne possa avere la certificazione ufficiale: Stasi ha portato a termine una semplicissima rottura epistemologica nel dizionario, nel linguaggio e nella sintassi politica e, quindi, nel corpo vivo della comunicazione simbolica e nelle dinamiche complesse di costruzione del consenso nelle opinioni pubbliche.
Stasi lo ha fatto nel corso del suo primo mandato, senza preoccuparsi minimamente di essere eventualmente percepito in modo del tutto antitetico ai contenuti, ai metodi ed ai sentimenti che hanno invece nutrito e rafforzato la sua emersione, decenni addietro, come movimentista civico e come icona della protesta giovanile contro tutti i poteri costituiti e tutte le istituzioni.
Tradotto: il quasi plebiscito verso Stasi di qualche giorno fa, come qualche lucido commentatore ha anche scritto in queste ore, non è e non può essere assolutamente ingabbiato in una opzione di sinistra, né di centro sinistra. Perché non è così.
Stasi è stato riconfermato con il 65% circa dei consensi da una comunità che per decenni, con le due città originarie di Corigliano e di Rossano, ha optato per sindaci dichiaratamente di destra.
Ed è la stessa comunità, fusa da qualche anno che, a prescindere da collocazioni ideologiche e sigle, con molta probabilità oggi ha individuato in lui, nella sua figura pubblica, esattamente quell’uomo solo al comando, decisionista, insofferente al politicamente corretto ed alla diplomazia, scarsamente incline all’assemblearismo su tutto e che non decide nulla, emerso spesso (con i pro ed i contra) nella narrazione elettorale appena conclusasi.
C’è anche altro, per carità, come ad esempio il fatto che Stasi abbia giocato molto, immagino con strategia, sull’infiammare dal basso la propensione autonomista della comunità rispetto ai poteri più o meno occulti di Cosenza e Germaneto, così come sono stati raccontati in comizi e comunicati stampa.
Ma anche questa declinazione, che è di pura comunicazione simbolica ed emozionale, ben si allinea con quella iconografia dell’uomo forte capace di difendere, anche eventualmente sbagliando ma in proprio, gli interessi degli indigeni dalle epiche incursioni esterne.
Ci sta. Funziona. E potrebbe avere pure un suo perché, soprattutto oggi.
Se poi su questa analisi semi-seria, che vuole però indurre a riflettere sul valore strategico della comunicazione e del suo governo consapevole, si grattugiano altre due chiavi di lettura, forse il piatto diventa ancora più indigesto o saporito a seconda di chi ama o non ama l’autentico.
La prima pare sia finalmente diventata incontestabile.
Rispetto alla visione di governo, condivisibile o meno, costruita, consolidata e rilanciata da Stasi in solitario negli ultimi cinque anni, non vi è stato alcun tipo di opposizione, né consiliare (con alcuni consiglieri passati addirittura in campo avverso), né tanto meno fuori dall’assise civica. E questo è un dato. Punto.
Mi riferisco alle forze politiche del centro destra che, fino a qualche mese fa, peraltro attraverso assurde dichiarazioni di propri rappresentanti locali, non avvertivano neppure il senso e la gravità, percepite invece dal loro stesso elettorato, del ritardo accumulatosi sia con l’immatura non-opposizione che con la successiva, irresponsabile non-decisione di un proprio candidato in tempi utili, fino alla discesa in campo in extremis dell’eroina Pasqualina Straface dalla quale ci si aspettava, bizzarramente, l’impossibile.
Da una parte, Stasi ha sistematicamente de-istituzionalizzato sui suoi social personali sia la sua nuova immagine pubblica di sindaco, volutamente congelata in quella del movimentista sganciato da poteri e simboli del potere, sia quella che sarebbe dovuta essere ma non è mai stata la comunicazione ufficiale dell’ente, con equivoci gravissimi, mai sanati e che, come prevedibile, continueranno ad erodere, nel silenzio generale, il senso stesso delle istituzioni pubbliche, che non possono e non devono mai coincidere con le persone che pro tempore le rappresentano.
Dall’altra, il prolungato ed inspiegabile vuoto narrativo e di comunicazione di una qualsiasi visione alternativa rispetto a quella legittimamente costruita e disseminata per cinque anni ha di fatto cristallizzato quella mutazione dello stesso linguaggio politico sociale (divenuto social) fino a qualche anno fa ancora riconoscibile e riconosciuto in più strati dell’elettorato.
E tutto ciò ha prodotto due effetti sottovalutati, non da tutti:
1) è diventato letteralmente incomprensibile per l’opinione pubblica diffusa, ogni tentativo di analisi e di proposta timidamente diversa da quella impersonata dal sindaco uscente;
2) è diventata impossibile una qualsiasi de-costruzione dell’immagine consolidata del sindaco uscente, da parte del qualsiasi competitor in una campagna elettorale di appena due mesi.
La seconda grattugiata è data o se si preferisce confermata dai numeri.
È vero: i numeri vanno letti tutti meglio e qualcuno dirà anche con più prudenza e pesantezza.
Ma alcuni di essi, possono anzi dovrebbero già oggi tenere in piedi un dibattito non scontato; quanto meno per non far commettere gli stessi errori dell’attendismo annacquato che ha occupato la scena democratica cittadina, stupendo o divertendo lo stesso Stasi quasi fino alla fine.
Basta leggere, infatti, i risultati di Fratelli d’Italia (FDI), partito di maggioranza relativo nel Paese e partito della Premier Giorgia Meloni, anch’egli convinto attore co-protagonista locale di quella che è stata, nella sostanza, l’incredibile non opposizione alla prima Amministrazione Comunale Stasi.
FDI passa, infatti, nella stessa consultazione elettorale, da 7582 voti di lista alle europee a 2350 voti di lista alle comunali, con una differenza di oltre 5000 voti.
Questa implosione delle liste di partito, dalle europee alle amministrative, ha interessato anche altre sigle, sia del centro destra cittadino, tranne Forza Italia (partito del Presidente Roberto Occhiuto e della candidata Pasqualina Straface) che ha invece mantenuto se non forse aumentato i consensi; sia dello stesso centro sinistra a sostegno di Flavio Stasi, come il caso del PD che passa 3300 voti alle europee alle 1300 delle comunali o, caso a parte, del Movimento Cinque Stelle che addirittura ne perde per strada quasi 11 mila.
Che tutti questi voti di area e di simpatia per Stasi siano andati a finire dritti dritti, nelle super liste civiche a sostegno del sindaco riconfermato credo sia anch’esso un dato incontestabile e pure normale, alla luce del risultato importantissimo realizzato. Insomma è un dato che non scandalizza nessuno, tanto meno il riconfermato beneficiario, che continua a divertirsi, senza più stupirsi di nulla ormai.
Dovrebbe invece importare a qualcun altro se a confluire in un eventuale sostegno silenzioso e trasversale a Stasi dovessero esser stati anche quegli oltre 5000 voti di Fratelli d’Italia, perché in tal caso, non essendo FDI una lista civica estemporanea ma un partito nazionale che a Roma è orgogliosamente identitario, distintivo e pure divisivo, potrebbe anche significare che Stasi sia stato percepito, almeno nei suoi già visti metodi di governo, come più meloniano degli stessi meloniani nostrani. Sic!
Quest’ultima circostanza certo non influisce per nulla sui risultati e sull’esito finale già scritto, ma sicuramente potrebbe offrire forse strumenti di lettura meno asfittici di quelli proposti in queste ore (a porte chiuse) da staff e segreterie di partito; diciamo che è un punto di vista forse anche più esilarante, liberamente ispirato al famoso film di Corrado Guzzanti, Fascisti su Marte, ma al contrario!
Chiudo ribadendo che la mia è e vuole essere soltanto un’istantanea neo-realista, una tra le tante che si stanno leggendo post voto, assolutamente non giornalistica né tanto meno politica; lo scatto di chi fa impresa da circa trent’anni nella produzione di contenuti e strategie per la comunicazione; uno screenshot senza filtri, diciamo così per staccare la spina ed abbassare la tensione; e ciò al netto, sia delle rispettive e legittime tesi delle tifoserie che se le sono cantate alla grande fino a ieri riscaldando un pochino un clima politico rimasto stantio e smorto per troppo tempo; e sia, per pietà, di quanti, prima ripescati col 90% di ribasso in una gara marziana notoriamente sospetta e poi promossi sempre su Marte con successivi affidamenti diretti ed importi lievitati senza alcuna proporzione, continuano a scaldare da anni sedie e divani di qualche ufficio che sarebbe altrimenti strategico per l’immagine della Città, arrivando in queste ore perfino ad auto-attribuirsi, auto-accusandosi sui social di ciò che non sarebbe loro consentito, di aver addirittura fatto campagna elettorale per uno dei due canditati, abusando in tal caso (qualora capaci) della propria funzione e postazione, di fatto strapagate a vuoto e con importanti risorse pubbliche.
Lenin Montesanto
(comunicato stampa)