Nepotismo: il fenomeno è tornato alla carica anche sulla costa jonica cosentina

di PASQUALE LOIACONO

tengo-famigliaDai più alti vertici dello Stato alle università: dai comuni ai ministeri agli enti pubblici; dalle ferrovie alle società dei telefoni, dagli incarichi politici alle consulenze d’oro, il nepotismo è tornato alla carica, almeno dalle nostre parti, in Calabria, sulla costa jonica cosentina.
“Tengo famiglia” è ancora il nostro motto, come affermava già Leo Longanesi?
Sembrerebbe proprio di sì. “Mi manda papà” resta tuttora il magico passepartout che assicura lavoro, carriera, privilegi.
Dunque, è la solita, antica storia, tutta politica: poltrona ricca, mi ci ficco… insieme a figli, mogli, nipoti, amanti, cugini, amici, amici degli amici.
Il neologismo “parentopoli”, per non farci mancare proprio nulla, nasce in Calabria nel 2005 per merito o colpa, dipende dai punti di vista, di Egidio Masella, l’assessore regionale al lavoro, targato Rifondazione Comunista, dimessosi dopo che era diventata di dominio pubblico una curiosa assunzione nel suo staff: quella di sua moglie, l’avvocato Lucia Apreda.
Il virus deve essersi diffuso a macchia d’olio ed è sicuramente assurto a vero “sistema” se oggi non si ha neppure il pudore di dissimularlo dietro il paravento di presunte competenze e da noi, complici le elezioni comunali prossime venture e, forse, lo zefiro che spira dall’azzurrissimo mare (guarda un poco la bontà e la purezza di certe intenzioni), il malcostume diventa virtù.
L’impressione è che, nella nostra zona, finirà che ci dovrà servire l’albero genealogico per orientarci e per capire che cosa facciano esattamente padri, figli, zii, nipoti e affini negli incarichi pubblici.

Possibile? L’organigramma dei posti che contano è ancora e soltanto un affare di famiglia? E chi non può vantare amici o natali illustri è davvero tagliato fuori? Oppure la successione “dinastica” delle poltrone rappresenta un’eccezione e non la norma? Certo, oltre che legale, la questione è culturale. E anche soprattutto morale. Per questo l’arma migliore sarebbe quella di alzare la “soglia etica” della nostra società.
C’è poi un ulteriore aspetto, che è quello legato al concetto di clan, di lobby: chi nasce “figlio o parente di” parte favorito. Per tutti gli altri, la strada è in salita.
È una classe che si autoriproduce, non favorendo la crescita generale. Ma qui l’etica del singolo non basta: è la testa dei nostri illustri politici che deve cambiare.
Aspirazione difficile, tenuto conto che il nostro ordinamento non prevede la decapitazione.

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