Testimonianza forte, significativa e dal grande valore morale, umano e cristiano quella presentata minuziosamente, venerdì scorso 10 novembre, presso la chiesa “Santi Nicola e Leone” allo scalo di Corigliano, dal Padre Missionario Gigi Maccalli.
Davanti ad una nutrita comunità di fedeli, sacerdoti e alla presenza dell’Arcivescovo Maurizio Aloise, ha avuto luogo la veglia di preghiera, tra canti e altri momenti, dal tema “Vivere Per Dono”. “Vivere Per Dono”, inoltre, è lo stesso slogan del festival della “Missione” tenutosi a Milano lo scorso ottobre. E non poteva esserci parrocchia più appropriata se non quella intitolata ai due Santi Martiri e Missionari Coriglianesi, Nicola Abenante e Leone Somma, uccisi per la loro proclamazione della Fede Cristiana il 10 ottobre del 1227 proprio in Africa, a Ceuta, in Marocco. Anche Padre Maccalli, infatti, dal canto suo si trovava in Africa per predicare il vangelo e sostenere una delle popolazioni più povere al mondo quando fu rapito in Niger, nell’Africa sub-sahariana. «Ero missionario in Niger a Bomoanga già undici anni- ha iniziato il suo racconto Padre Maccalli- esercitando la mia missione in una realtà molto agreste, quando nella notte di quel 17 settembre 2018 fui portato via dai rapitori in moto per raggiungere dopo diciassette giorni il Mali. Situazione sconcertante e sconvolgente che mi ha fatto ritrovare anche nel deserto controllato da un gruppo di jihadisti che spesso mi hanno anche spostato di prigionia. Rapitori armati di kalashnikov, tra l’altro giovani, a cui ho cercato di spiegare chi ero e che ruolo svolgevo in quel territorio, in lingua francesce, ma all’argomento religioso i discorsi si inasprivano e mi invitavano alla conversione all’islam. Nel silenzio e nei mie mille “Perché mio Dio mi hai abbandonato” ho vissuto il mio travaglio personale della notte oscura. Passavano i mesi ma ho ritrovato proprio nel silenzio la profondità di lettura delle dimensioni da un’altra prospettiva. Porto con me tre cose di questa terribile esperienza che voglio mostrarvi: un anello della catena con cui mi tenevano incatenato dal tramonto all’alba anche nel deserto dove, pur volendo, non c’era la possibilità di scappare e di cui tutte le sere sentivo il tintinnio (per l’occasione per far soltanto intuire la durezza del gesto Padre Maccalli ha lasciato cadere sull’altare lo stesso anello); una croce ricavata con dei pezzetti di legno e un Rosario creato dal telo che mi copriva dal sole, annodando dei pezzi di stoffa per recitare il Rosario a “Maria che Scioglie i Nodi” a cui affidavo tutte le mie intenzioni giornaliere di Pace e quelle di altre persone a me care. Le mie preghiere erano destinate oltre che alla Madonna anche allo Spirito Santo perché la chiesa della nostra comunità di Bomoanga, inaugurata nel 2017, è intitolata proprio allo Spirito Santo. La Pentecoste è la nostra festa Patronale e sul fondo della parrocchia c’è la sequenza di Pentecoste che recitavamo in lingua locale ogni giorno. In quella particolare circostanza nel deserto, l’invocazione era rivolta affinché lo Spirito potesse sciogliere i cuori induriti e afflitti. Due compagne di viaggio che mi hanno sorretto e mi hanno dato una grande forza per resistere per 752 giorni fino al rilascio dell’8 ottobre 2020. Dopo aver ritrovato la libertà – evidenzia Padre Maccalli- mi sono fatto promotore di un pensiero che consiste nel levare qualsiasi tipo di catena: quelle fisiche e invisibili. Non bisogna giudicare e condannare nessuno, rispettare sempre ogni persona, ascoltare e dialogare con tutti perché dall’ascolto e dall’incontro può nascere qualcosa di nuovo e di buono. Mi faccio fautore di disarmare le parole armate, perché da quello che vedo nei dibattiti in tv in qualsiasi ambito e che mi dà molto fastidio, è di quanta violenza ci sia nelle nostre parole. Perché dalle parole armate si passa ad azioni e gesti armati. Ecco perché se disarmiamo la parola, possiamo disarmare le mani, lo sguardo e vedere l’altro come un fratello o sorella e permette la nascita di un mondo di pace. Il mio imperativo è iniziare dal piccolo gesto personale della mia lingua, del mio mondo e della mia realtà quotidiana che incontro ogni giorno perché siano parole di rispetto di ascolto e di pace». La veglia di preghiera, inoltre, ha voluto ripercorrere le tre parole chiavi “Vivere Per Dono” per farle proprie ritrovando in esse il senso della vita e della missione di ognuno. Declinate, infatti, anche le storie di due testimoni di Fede come l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, lo scorso anno assassinato insieme al carabiniere di scorta Vittorio Iocovacci in Congo, e dell’operatrice sanitaria in Somalia Annalena Tonelli. E a margine della bellissima testimonianza, Monsignor Aloise ha aggiunto solo un pensiero, già emerso nella veglia, riallacciandosi ad una catechesi di Papa Francesco: «Voglio lasciarvi riflettere e ricercare la risposta su tre termini: rialzarsi, prendersi cura e testimoniare. Tre passaggi cruciali da cui non possiamo prescindere ma da cui dobbiamo trarre delle indicazioni per mescolarci concretamente nella realtà». A margine dell’incontro non sono mancate le foto di rito e le dediche sulle tante copie del libro di Padre Gigi Maccalli “Catene di Libertà”.
Cristian Fiorentino