PIETRAPAOLA. La comunità di Pietrapaola si prepara a festeggiare San Domenico di Guzman, protettore del borgo assieme a Santa Maria di Giacomo.
La sua celebrazione sul territorio si ricollega alla presenza del convento Domenicano S. Maria Jacobi – soppresso nel 1652 per pochezza di membri – risalente alla seconda metà del 500, situato in località S. Maria, ove attualmente sorge il camposanto. Di esso sono rimaste vecchie mura di una Chiesa.
A San Domenico, una volta, il tempo si fermava. E si fermava anche la gente. Qualsiasi cosa che nella quotidianità era importante e urgente, quel giorno non aveva valore. Si sceglievano le coperte dei corredi da stendere fuori dai balconi per il passaggio del Santo. Si preparava il pranzo in grande, perché tutti tornavano a casa e dovevano mangiare il lavoro di chi era rimasto, fare incetta di sapori e di respiri prima di ripartire. Mio nonno usciva e tornava con qualcuno che poi mangiava con noi, perché «ni fa nu piacire, ‘cca a robba si jette». E in realtà non si buttava niente, era solo condivisione, un modo per farlo tornare anche l’anno dopo, perché non c’aveva più la famiglia ma al paese doveva tornare.
A San Domenico le donne mettevano i vestiti più belli, di solito a fiori. Chi come mia nonna attendeva il Santo a casa, pregando e cucinando, li copriva con il “sinale” (grembiule) per non sporcarsi. Al rumore del primo botto il Santo era uscito dalla Chiesa. Provava una gioiosa smania a me estranea. Mi commuovevo comunque nel vedere che potesse affidare la sua vita e la nostra a qualcun altro. Appena sentiva la processione passare, con le litanie religiose e gli strumenti musicali, prendeva la “guantera” (il vassoio più elegante che si aveva) piena di riso, fiori profumati, confetti e i soldi dell’offerta, e la gettava al Santo. Il Santo faceva tappa ad ogni casa, e ogni casa si riversava su di lui. Quanti baci e lacrime ha visto quella Statua, e quante preghiere ha sentito. A bassa voce, si chiedeva a bassa voce. Lo supplicavi di fare stare bene la famiglia e lo ringraziavi per averla fatta riunire un altro anno. Poi lo vedevi andare via, lo seguivi con gli occhi, fino a non vederlo più, consolandoti con la figuretta in mano.
Il Santo continuava il tragitto, accompagnato dal prete, dalla banda musicale del paese, dalle donne che per voto camminavano a piedi scalzi, dagli uomini che si fermavano alle porte aperte delle case, per poi finire al bar del paese. Dovevi salutare tutti i paesani in quest’unica occasione propizia, e infatti, rincasavi tardi. Tutti incontravano il Santo: i malati e gli anziani venivano portati per primi fuori dalla casa, perché i più bisognosi della fiumana di gente. Di fronte alla Statua incontravi il paese, occhi contro occhi col Santo, la speranza.
Al rientro del Santo in Chiesa, nessun chicco di riso ai suoi piedi veniva risparmiato: tutti ne portavano qualcuno con sé, perché benedetto. Le fatiche di terra e di campi, le attese dei ritorni e gli stenti di ogni famiglia trovavano un senso, in una dimensione bucolica di un paradiso ormai perduto. Erano tutti ricchi senza saperlo. Erano tutti peccatori, sapendolo.
Prima del concerto per i festeggiamenti civili c’erano – e ci saranno – “gli incanti” in piazza Mancini (detta “Rio”), un’asta dei prodotti offerti dai cittadini ex voto (in voto) al Santo Patrono. Si trattava dei frutti della terra, animali allevati quali capretti, agnelli e galli. Molto diffusi pure i prodotti caseari, come caciocavalli o “pezze e casu” (formaggi stagionati a forma rotonda). Tra i dolci, le “pupe”, prodotti dai forni che per l’occasione erano tutti accesi. Esse avevano la forma dell’oggetto di voto: se ricevente la grazia di un piede risanato, erano rappresentati appunto, dall’arto in questione.
Domani tante porte non saranno spalancate al passaggio del Santo. “Sono cambiati i tempi”. Chi ha vissuto queste esperienze però, non può dimenticare, anche se vorrebbe. Vorrebbe non ricordarsi della nonna che lo aspettava all’uscio come faceva col Santo. Vorrebbe non ricordarsene perché non c’è più. Non c’è più quell’attesa del ritorno e pochi ancora hanno volontà di ritrovarsi. Tuttavia, il ricordo domani andrà a trovare anche loro, attraverso un profumo o un gesto, che se declinato in un’opera di bene immeritata, sarà atto di fede.
Virginia Diaco