Dichiarazione di non doversi procedere, poiché già giudicati per la stessa ipotesi di reato in un diverso procedimento, per Francesco Abbruzzese alias “Dentuzzo” presunto boss di Cassano all’Ionio, e per i coriglianesi Rocco Azzaro e Ciro Nigro. La pronuncia è giunta ieri, all’esito della camera di consiglio nell’ambito del secondo grado di giudizio per gli imputati coinvolti nel maxiprocesso “Sybaris” che trae origine dall’inchiesta della Dda di Catanzaro che nel 2003 sgominò gran parte del presunto clan dei nomadi dominante nella Sibaritide. La Corte d’Appello di Catanzaro ha dato lettura ieri del dispositivo della sentenza, le cui motivazioni saranno depositate nei prossimi novanta giorni. Dichiarazione di non luogo a procedere, quindi, per l’ipotesi associativa, per via del principio del cosiddetto “ne bis in idem” per: Francesco Abbruzzese alias “Dentuzzo”, difeso dall’avvocato Roberta Provenzano; Rocco Azzaro, difeso dagli avvocati Antonio Sanvito e Francesco Oranges; Ciro Nigro, difeso dagli avvocati Antonio Sanvito e Marcello Manna. Questi ultimi due già giudicati nel processo “Santa Tecla” e Abbruzzese già processato in “Timpone Rosso”. Tutti e tre, nel Sybaris, erano accusati di essere tra i promotori della contestata associazione. Per il resto, in riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello ha dichiarato il non doversi procedere anche per Nicola Abbruzzese, per un capo di imputazione per intervenuta prescrizione, e ha assolto Natale Altimari e Antonio Basile dall’ipotesi associativa “per non aver commesso il fatto”. Per Basile anche dichiarazione di non doversi procedere, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 Dl 203/1991, per altri tre capi di imputazione per intervenuta prescrizione. Sentenza di primo grado, infine, confermata per gli altri imputati. Una vasta operazione, quella denominata “Sybaris”, che diede un duro colpo ad un’organizzazione mafiosa che, secondo gli inquirenti, era capace di dominare l’intera fascia ionica. Un’inchiesta durata tre anni e che aprì uno squarcio sulla storia criminale della Sibaritide dal 1999 all’ottobre 2002. Tre anni di dominio assoluto ed incontrastato, per gli inquirenti, di quello che venne definito “il sodalizio mafioso più forte” con testa a Sibari e Cassano, e tentacoli avvinghiati alle città, piccole e grandi, dello Ionio e del Pollino. Varie le accuse: dall’associazione a delinquere di stampo mafioso al traffico di sostanze stupefacenti, dai danneggiamenti ai furti e alle estorsioni.