Superato il terremoto del 1836, l’anno successivo la città fu funestata dal colera che però grazie all’opera del sindaco Marcantonio Romano non ebbe gravi conseguenze.
Scientificamente è certo che tra le principali cause dell’epidemia di colera ci sono le scarse condizioni igienico-sanitarie, la cattiva gestione degli impianti fognari e dell’acqua potabile, però tra il popolino circolava la convinzione che le infezioni fossero opera, come per la peste del Manzoni, di untori che andavano in giro diffondendo il contagio con unguenti, liquidi e sostanze infette. Pertanto in occasione di ogni epidemia scoppiavano tumulti di protesta contro gli “untori sospetti” con conseguenze anche gravi e i politici dell’epoca ne approfittavano per accusare la parte avversa di essere la mandante dei contagi. Queste credenze resistettero fino al ‘900 tanto è vero che Ignazio Pisani nei suoi diari riferisce, era il 1910, che «ancora esiste, nel volgo di tutto il Mezzogiorno, la superstizione idiota che il Colera è veleno… ciò indica la grande ignoranza che ancora domina le masse».
Così nel contagio di colera del 1854-55 a Rossano avvennero sommosse durante l’epidemia perché si sospettava che il contagio fosse stato causato dallo spargimento di infusi e polverine. I borbonici fecero circolare il dubbio che dietro il diffondersi dell’epidemia ci fossero i liberali mentre questi ultimi cercarono invece di sfruttare la situazione per sobillare il popolo contro i reazionari e le rivolte degenerarono nel sangue. Tumulti ci furono anche a Longobucco e nel 1855 morì per colera anche il sindaco di Rossano Domiziano de Rosis. Sull’epidemia del 1867 che colpì Rossano, Longobucco e altre località del circondario ci sono molte testimonianze. Il Gradilone racconta della sommossa del Rione San Pietro dove una povera donna ricevette la visita di una comare del vicinato con la quale si mise a parlare dei casi di colera che si erano verificati quel giorno. Purtroppo però la comare, mentre discuteva, vide sul tavolo un pezzo di pane ammuffito e senza rifletterci più di tanto si mise a gridare che quel pane conteneva la polverina del colera. Sentite le urla, i vicini fecero un grande assembramento che degenerò in un tumulto di proporzioni allarmanti, con la gente che da ogni parte gridava “a morte”. Per fortuna accorsero i soldati, i carabinieri e le guardie nazionali che a stento riuscirono a salvare la malcapitata e la sua casa dal saccheggio e dall’incendio. Il comandante della guardia nazionale alla fine riuscì a calmare gli animi promettendo giustizia sommaria, ma per precauzione mise sotto stretta protezione l’abitazione e la povera donna, che non stava più in sé per il terrore, salvandola così dal furore popolare. Nello stesso periodo D. Francesco Antonio Pisani, che faceva le funzioni di sindaco, mentre una sera di settembre, stanco per l’assistenza fatta a diversi colerosi, tornava a casa venne aggredito a tradimento da un tal Cerrella che lo colpì con 17 pugnalate che per fortuna non intaccarono organi vitali, essendosi egli potuto difendere con un bastone. Le scene più violente si ebbero però a Longobucco.
Ne parla sia lo storico Gustav Frigyesi nel suo “L’Italia nel 1867, storia politica e militare corredata di molti documenti editi e inediti”, pubblicato nel 1868, quindi una anno dopo lo scoppio dell’epidemia, che Edmondo De Amicis in “La vita militare” del 1869. De Amicis racconta che dopo la morte per colera di Giuseppe Citini la folla invase la casa del defunto e la saccheggiò. Poi irruppe a mano armata nella casa del sindaco e assaltò la casa del farmacista Felicetti rubando tutto quello che poteva e distruggendo la farmacia. Il colera faceva anche da miccia al malessere che covava tra la popolazione e, a tal proposito, il De Amicis aggiunge che a Longobucco il popolo «suonò le campane a stormo; corse furentemente le strade per l’intera notte gridando che volea mettere a morte tutti i proprietari e tutti gli officiali pubblici. La mattina tentò di penetrare nella caserma dei bersaglieri, e cercò di nuovo del sindaco per ucciderlo. E l’avrebbe ucciso se non accorrevano in tempo il maresciallo dei carabinieri …».
Frigyesi riferisce invece che, sempre a Longobucco, «Quasi tutti gli abitanti che ne avevano modo, erano fuggiti; fra questi vergognosamente si notarono gli assessori municipali ed altre autorità, il che accrebbe confusione e disordine nella cosa pubblica, costernazione e insania nella plebe. Il sindaco del paese ammalò. Non si trovava persona che ne facesse le veci; mancavano gli assessori, mancavano i segretari e perfino gli uscieri del municipio: le poche persone notabili del paese tutte datesi alla fuga». Infatti, chi ne aveva la possibilità, quindi più che altro i proprietari, in caso di colera si ritiravano nei loro casini di campagna abbandonando il paese e allontanando in tal modo il pericolo del contagio. Lo conferma anche Ignazio Pisani nei suoi diari, a proposito della paura conseguente al caso di colera accaduto a Trani nell’agosto del 1910. «Il Colera per riflesso ha favorito la nostra villeggiatura in montagna che è stata popolatissima. La Piana della Vernile piena come al solito, Martucci, Pisani, Sorrentino, De Mundo, Filadoro, Ariani, Labonia Guglielmo, a Palopoli Rizzuti, a Falco Joele. A Ceradonna De Rosis. I villeggianti si sono molto divertiti con gite, balli, canti, serenate e i miei si sono ritirati il 3 novembre».
Insomma col colera molti tremavano ma c’era anche chi, pochi a dir il vero, cantava e ballava.
Martino A. Rizzo
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a
Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica
sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato
il romanzo Le tentazioni della
politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri
del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito
anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione
dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,
Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,
Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.
Da fotografo dilettante cerca di cogliere
con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio
e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie
su Rossano Se chiudo gli occhi.