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Rapina a mano armata, la paura di parlare: quando l’immobilismo diventa complicità

Una rapina violenta, tra le corsie affollate del supermercato Eurospin di Rossano, ha scosso la comunità locale. Un malvivente travisato, armato di pistola a tamburo, ha messo a ferro e fuoco il negozio, minacciando, picchiando e terrorizzando il personale. Oltre 3mila euro il bottino, eppure ciò che più inquieta non è tanto l’atto criminale in sé, ma la totale indifferenza di chi era presente.

Il fatto è durato circa mezz’ora. Un tempo sufficiente per assistere impotenti a un atto di violenza, ma anche per agire, per chiamare le forze dell’ordine. Eppure, incredibilmente, nessuno ha fatto nulla. Nessuna chiamata al 112, nessuna reazione che denunciasse il crimine in corso. Il rapinatore, dopo aver malmenato il responsabile e costretto le cassiere a consegnare il denaro, è riuscito a fuggire indisturbato, con il silenzio dei presenti come unica traccia del suo passaggio.

Cosa ci dice questo immobilismo? Paura? Omertà? Non è difficile immaginare che la paura abbia giocato un ruolo decisivo. La paura di trovarsi coinvolti, di essere identificati, di rischiare la propria sicurezza. Eppure, la paura non può diventare il paravento per la propria responsabilità civica. In una società che si definisce civile, il silenzio di chi assiste a un atto di violenza non è solo un vuoto morale, ma un pericoloso abbandono dei principi di solidarietà e giustizia.

C’è anche un’altra interpretazione, quella dell’omertà, quella cultura del “non parlare” che, troppo spesso, permea certi ambienti e che permette ai crimini di prosperare senza ostacoli. Non si tratta solo di paura per la propria incolumità, ma della consapevolezza che parlare potrebbe compromettere un equilibrio di silenzi, di protezione della propria tranquillità individuale, a scapito del bene collettivo.

Ma è proprio questo immobilismo che, alla fine, abilita la violenza. Ogni atto di violenza, per quanto isolato, dipende in parte dalla reazione (o dalla mancanza di essa) della comunità. Se si permette che l’indifferenza prevalga, si consente che la violenza diventi parte del paesaggio quotidiano, come un evento che non suscita più shock, ma solo una rassegnata assuefazione.

La rapina di Rossano deve farci riflettere su quanto il nostro comportamento quotidiano influenzi il tessuto della nostra società. Non possiamo continuare a girare la testa davanti all’ingiustizia, lasciando che il silenzio prenda il posto della denuncia. La paura non può giustificare l’inazione. Se non interveniamo, se non parliamo, non solo alimentiamo il crimine, ma priviamo noi stessi di un fondamentale diritto: quello di vivere in una comunità giusta, dove la violenza non trova ospitalità.

E se la paura ci paralizza, dobbiamo ricordare che la vera forza risiede nell’agire, nel fare un passo avanti quando tutto sembra crollare. Chi ha visto, chi ha sentito, chi era lì, non deve dimenticare che il silenzio è complicità.

Matteo Lauria – Direttore I&C

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