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Referendum fusione Cosenza-Castrolibero-Rende, Menin: «L’ingordigia a volte non paga»

editoriale

È cominciato male, peggio che più non si può, il tentativo di alcuni clan dirigenti della massoneria cosentina sotto l’ombrello degli Occhiuto di accaparrarsi le due città vicine Rende e Castrolibero per diventare unica città. A parte la vittoria del No, lo schiaffo pesante a queste ambizioni è venuto dai cittadini che si sono ben guardati dall’avventurarsi in un terreno minato, l’unione di 3 comuni con storie e culture differenti , presentata dagli Occhiuto come rivincita sulla fusione di Corigliano e Rossano, che invece ha avuto larghissimo successo nel 2017. E così il popolo ha scelto di non condividere le lotte e le ambizioni di ampliamento di potere di una parte della classe dirigente cosentina, e di varie parti politiche della città capoluogo che si sono unite per un clamoroso flop che riguarda destra e sinistra cosentine, almeno quelle ufficiali dei partiti e formazioni politiche esistenti.
A prima vista potrebbe apparire come una rivincita del campanilismo tipico dalle nostre parti, ma sarebbe alquanto superficiale considerarla così: ce lo dice il numero straponderante di non votanti vicino ai 4/5 , 80% degli elettori, cioè persone che non condividono questo percorso imposto dall’alto per interessi che le popolazioni non condividono e neppure dichiarano di interessarsi, perché se fosse il contrario a votare ci sarebbero andati.
Questo risultato conferma che quando i cittadini sono liberi di votare senza il condizionamento delle liste truccate dall’alto, dei piaceri più o meno piccoli( ricatti del voto) che i partiti, o meglio i loro gruppi dirigenti, promettono alle elezioni, gli stessi cittadini hanno le loro idee precise che non coincidono con le loro classi dirigenti. Nel caso di Cosenza, Rende e Castrolibero la stragrande maggioranza dei cittadini ha altri problemi a cui pensare, dettati da una fase generale di stagnazione economica successiva all’inflazione e alla pesante diminuzione dei salari e stipendi che ha colpito soprattutto le classi più povere, al disastro della sanità calabrese per cui la mancanza di assistenza sanitaria costringe le persone ad emigrare verso ospedali e regioni meglio attrezzate nel centro e nel Nord Italia.
L’ingordigia di potere che affligge molti gruppi dirigenti non solo a Cosenza, ma anche in altri luoghi calabresi , dove ci si dimentica delle condizioni precarie della vita reale dei cittadini e si preferisce fare uso sempre personale delle istituzioni che invece sono al servizio di tutti, non sempre paga.
Basta andare a far quattro chiacchiere al caffè in qualunque bar del capoluogo bruzio, ma anche in altre zone della Calabria e ci si accorge di quanti sacrifici i cittadini devono compiere ogni giorno per sbarcare il lunario non importa se sono operai, disoccupati con ciò che resta del reddito di cittadinanza, impiegati o casalinghe o commercianti.
Il fallimento del referendum si porta con sé inevitabilmente la sconfitta di chi lo ha proposto che purtroppo riguarda buona parte preponderante dell’attuale ceto politico dirigente della città di Cosenza e inevitabilmente si tradurrà in una rinnovata lotta interna di potere tra gruppi dirigenti locali.
L’incapacità di una visione più ampia dei problemi calabresi e del territorio di una vastissima provincia com’è quella di Cosenza dove le periferie annaspano nei servizi e il centro, capoluogo, da sempre ha preferito solo politiche di accentramento amministrativo e dei servizi , alla fine si traduce in una incapacità di valorizzare le importanti risorse territoriali del Nord della Calabria, che vengono sottoutilizzate al servizio di faccendieri e personaggi vari piazzati a dirigere gli enti che tutto fanno meno che sviluppare le risorse diffuse sul territorio. Mi riferisco ai parchi nazionali per esempio o all’incapacità di programmare turismo responsabile oltre il mese di agosto e alla penosa situazione di tanti aspetti dei servizi essenziali, dai trasporti dove tutta l’area jonica è drammaticamente penalizzata, alle gravi carenze sia negli ospedali sia nell’assistenza diffusa.
Ciò che invece c’è di positivo e di costruttivo in tutta la provincia di Cosenza è frutto dell’impegno di tanti cittadini, spesso volontario, e con scarso aiuto dalle istituzioni, tranne qualche sporadico episodio di vicinanza da parte dei comuni, che peraltro hanno bilanci magri.
Sarebbe sufficiente che le classi dirigenti regionali, provinciali e locali fossero più vicine a questi cittadini che ogni giorno col proprio sacrificio s’impegnano per cercare di valorizzare ciò che di buono c’è nei loro territori, perché la provincia di Cosenza e anche oltre nel contesto calabrese, anche se dovesse subire una riduzione amministrativa territoriale, per far spazio ad una provincia jonica, sarebbe sufficiente una maggiore vicinanza ai cittadini perché tante energie calabresi oggi soffocate riprenderebbero a spingere il motore energetico della regione e l’emigrazione rallenterebbe e riprenderebbe la demografia oggi in forte diminuzione in tutta la Regione, purtroppo. Questo con le attuali classi dirigenti non è possibile.
Fabio Menin

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