Prendo spunto dall’incendio che domenica pomeriggio, a Reggio, ha purtroppo distrutto uno degli ultimi villini edificati ad inizio Novecento da una ditta di Basilea che seppe coniugare la tradizione costruttiva alpina con le novità tecnologiche di allora. Lo faccio per richiamare l’attenzione delle autorità competenti su una categoria dell’edilizia storica calabrese troppo spesso trascurata: le case baraccate. L’edificio andato a fuoco era sorto, infatti, nel clima di sperimentazione post terremoto del 1908 ed era stato realizzato con una tecnica vicina a quella delle intelaiature lignee tridimensionali interne alla muratura adottate nel Regno di Napoli dopo il sisma del 1783, grazie all’intuizione dell’ingegnere Francesco La Vega, traendo spunto dalle architetture romane in opus craticium. Successivamente al “grande flagello”, la Calabria ha conosciuto altri terremoti, nel XIX e all’inizio del XX secolo, all’indomani dei quali edifici residenziali e uffici pubblici (penso anche al museo civico di Reggio) sono stati ricostruiti o costruiti ex novo in breve tempo adottando il sistema antisismico borbonico, nelle sue numerose varianti. Questo, infatti, garantiva alle murature l’elasticità necessaria a resistere alle sollecitazioni sismiche ed evitare il collasso strutturale accentuando l’effetto scatolare.
Tutelate ex lege perché già da tempo hanno superato i settanta anni di età, le case baraccate di Reggio, Seminara, Mileto, Cardinale, Santa Severina, per fare solo pochissimi esempi, sono relitti di un patrimonio edilizio che, non remotissimo in sé, può tuttavia a buon diritto definirsi tradizionale, perché in Calabria usa il legno fin dall’Antichità, grazie ai boschi millenari che rivestono la regione. È dunque necessario riconoscere alle case baraccate il valore di testimonianza, censirle, catalogarle e garantirne la sopravvivenza con apposite azioni di tutela. La natura dinamica del patrimonio culturale (e della nozione di esso) è infatti un dato acquisito, e l’attenzione crescente alla dimensione sociale dell’arte fa sì che questa conti ormai più dell’arte stessa, tant’è che l’interesse di un manufatto non risiede più solo nella sua valenza estetica ma nel suo essere risultato di un’azione collettiva, che è poi dire di una dimensione culturale condivisa in un dato periodo della storia umana (Comunicato stampa).