di MATTEO LAURIA
Stanchi e stufi dei soliti meccanismi, occorre una classe dirigente nuova con volti nuovi. L’urna dice questo, ma dice anche altro.
Il Coraggio di cambiare l’Italia è, oggi, la prima aggregazione in città, avendo sbaragliato i partiti tradizionali.
Il CCI tuttavia è un contenitore trasversale che raccoglie varie anime. Cambia la sigla, ma la sostanza è la stessa. Il leader è il Consigliere regionale Giuseppe Graziano, che incarna la doppia veste di coordinatore nazionale e di rappresentante di Forza Italia. L’azzurro vuole rinnovare e per farlo ha bisogno evidentemente di una struttura diversa. Sostiene Mascaro: tra i due sussistono rapporti storici, che non nascono certo oggi.
Un primo dato suscettibile d’interesse è il flusso elettorale: si è recato alle urne il 70,01%, 4 punti percentuali in meno rispetto al 2011. E, in una città vittima di una progressiva spoliazione di uffici e servizi e dove lo Stato arretra, è tanto. È singolare che in una città come Milano, capitale economica, su cui è piovuta una pioggia di milioni di euro con l’Expo, infrastrutturata, e con un bilancio all’attivo, sia andato alle urne il 55,90%, ben 13 punti percentuali in meno rispetto al 2011. A Milano si protesta, a Rossano va tutto bene.
Rossano ha perso una ghiotta occasione: boicottare l’urna. Ad autunno, la classe politica sarebbe stata più pronta. A rimetterci, principalmente, proprio Flavio Stasi, colui il quale (insieme a Caracciolo, Rapani e Acri) non ha inteso sottoscrivere l’accordo. Il movimentista ha pagato lo scotto di non essere supportato da liste forti, da una coalizione o da partiti in crescita.
Alla luce di quanto è accaduto a Roma, Napoli e Milano, se si fosse andati alle urne in autunno, il suo progetto poteva tradursi in realtà. Non aderire al “Non voto”, per Stasi, si è rivelato un boomerang.
Principale vittima del voto disgiunto Stefano Mascaro, 5-6 punti percentuali in meno rispetto ai voti di lista. Anche gli altri candidati ne hanno sofferto per via del “ciclone Stasi”.
Ernesto Rapani, seppure contrario al boicottaggio dell’urna, è comunque un soggetto che non le manda a dire. Se deve scendere in piazza, lo fa senza tentennamenti. Architetto di professione, è contro il centralismo cosentino e si batte per un rafforzamento dell’area jonica.
Tonino Caracciolo, uomo di sicura intelligenza, ha forse sbagliato approccio alla tipologia di campagna elettorale. Eppure aveva iniziato bene: taglio e piglio di chi sa come funziona il mondo. Poi, però, è caduto in una serie di errori che l’elettore non ha apprezzato.
E ora si entra nel capitolo degli “sconfitti”. La destra, come era nelle previsioni (a parte Rapani), ha risentito dell’eccessiva litigiosità. Lo scontro Caputo-Antoniotti ha determinato l’esclusione di entrambi.
Il dato elettorale, tuttavia, conferma che Rossano nella sua complessità è una città di centrodestra. Di semi-sconfitta si può parlare per il sindaco uscente Giuseppe Antoniotti, con una percentuale che non è andata oltre il 12%, pari alla percentuale dei voti raggiunti dalle liste collegate.
Altro dato storico è la fine politica dell’“era Caputo”.
Giuseppe Caputo ha pagato forse lo scotto di aver concepito, pur favorendo nel tempo il rinnovamento, il partito-persona. Che, come la storia insegna, vive di cicli, a differenza delle aggregazioni partecipative. Non a caso, solo alcuni partiti con una base radicata rimangono in vita, seppure con affanno.
In questo, è a rischio anche Flavio Stasi, il cui movimento è accentrato sul suo nome. Infine, il meritevole Stanislao Acri con il suo 7,56% di voti. Una candidatura da ultim’ora, frutto forse di un’eccessiva improvvisazione. E ora è caccia al voto. Si tentano tutte le carte. Un dato è certo: nessun apparentamento. Se accordi vi saranno, non saranno certo alla luce del sole. Occorre superare l’imbarazzo degli attacchi del primo turno.
Che solo il fattore “tempo” potrà superare.