di MARTINA FORCINITI
1993: la svolta, va in archivio il sistema proporzionale e ci si apre all’elezione diretta dei sindaci. Tradotto: si toglie il potere ai partiti e lo si affida agli elettori. In verità, cambia poco, perché poi saranno sempre i partiti a imporre regole e candidati. Rossano sperimenta la sua prima esperienza. Ed
è subito colpo di scena: i cittadini vogliono il cambiamento, si esce da tangentopoli. Si cerca una rappresentanza capace di incarnare e interpretare al meglio la protesta, una figura in grado si resettare le cristallizzazioni di un sistema ritenuto marcio. Dai banchi dell’ex Movimento sociale italiano, spunta
Giuseppe Caputo. Ingegna la lista “Mani pulite” con appena 20 candidati al Consiglio comunale. Una sorta di uno contro tutti. Caputo diventa sindaco dopo il ballottaggio, favorito da un errore storico dell’allora Tonino Caracciolo che si chiude a riccio nell’alveo della sinistra sbattendo la porta in faccia alla Dc.
La destra si trasforma in destra di governo nel giro di pochi anni. A ruota, segue la vicina Corigliano che elegge Giuseppe Geraci. Il vento tira a loro favore. Si preannunziano “tagli di teste” nella macchina comunale, solo in parte avvenuti, vuoi per l’esistenza di protettorati, vuoi per l’incapacità dello stesso Caputo di saper andare fino in fondo.
Può beneficiare dei fondi Enel ed ecco che la città gradualmente cresce e migliora. Gli elettori sono dalla sua parte. Caputo ha la città in mano. E nelle successive elezioni (1997) vince al primo turno con il 50.23% supportato dall’allora An e dalla nascente coalizione di centrodestra.
L’urna rafforza in Caputo l’idea di essere l’uomo del momento. Con lui, il codazzo di sempre, tra cui Giuseppe Antoniotti, prelevato dal nulla nel ’93 per iniziare un percorso politico-istituzionale. Caputo si dimostra senza pregiudizi. Afferma e dimostra nei fatti di essere il sindaco di tutti. E premia finanche quella burocrazia invisa alla destra rossanese. Non a caso, da una semplice assunzione (ex 285) all’ex comunità montana “Sila Greca”, eleva a dirigente della macchina comunale Giuseppe Passavanti (ex Pci), l’uomo che alcuni definiscono di tutte le stagioni.
Si crea un asse di ferro: Caputo-Antoniotti-Passavanti. Non si muove foglia che la triade non voglia. Tutti sotto un’unica cappa di fuoco: imprenditori, professionisti e larga parte della società civile assoggettata alle volontà di chi comanda in quel momento. Difficile scardinare quel sistema.
Caputo maschera bene: mentre parla di libertà dei singoli, estende i tentacoli della presa. Nonostante tutto, gli elettori sono con lui, anche perché l’azione amministrativa prosegue a ritmi elevati. La comunità si dota del primo piano regolatore generale, capace di ridisegnare, in chiave moderna, l’urbanistica cittadina. La legge elettorale, tuttavia, è severa, impedisce il terzo mandato. Per il rautiano di ferro, si presentano i primi problemi. Deve individuare un successore.
È lui che decide, c’è poco da fare. Si tenta di ammantare il tutto come scelte di partito, ma i fedelissimi sanno che a decretare l’ultima parola è Caputo
. E si consuma un primo strappo storico: la rottura con un fiduciario di sempre: l’avvocato Giuseppe Zumpano, naturale erede, già vicesindaco e compagno di banco (Msi) quando la destra incamerava numeri da condominio. Zumpano paga lo scotto di risultare una figura ingestibile. S’interrompe un rapporto politico ma anche di antica amicizia.
Caputo punta su Orazio Longo, già assessore all’ambiente, che si sbarazza di Tonino Caracciolo nel turno di ballottaggio. È l’inizio della prima brusca interruzione amministrativa della destra rossanese. Nel frattempo, Caputo apre la carriera all’ex parlamentare Giovanni Dima, che capitalizza al massimo ciò che riescono a fare sia Caputo che Geraci a tal punto da divenire prima consigliere e assessore regionale, poi parlamentare nazionale e sottosegretario regionale
.
La prima batosta elettorale arriva nel 2006: Caputo mette da parte Longo e sfida Franco Filareto (centrosinistra) che vince al ballottaggio. E per una manciata di voti non chiude la partita persino al primo turno. Si va avanti. Tra Corigliano e Rossano, si stringono accordi per come meglio spartirsi le poltrone.
La piattaforma prevede: Caputo alla Regione, Dima in Parlamento e Pasqualina Straface sindaco della città di Corigliano. Rimane escluso Geraci che non s’indigna, ma attende ai margini del fiume. La pianificazione trova applicazione nei minimi dettagli.
L’indole umana, si sa, riesce a essere diabolica quando si tratta di carrierismo. Spuntano le correnti: Caputo sposa l’area Gasparri, mentre Dima si butta con Alemanno. Un dualismo mai rientrato, che produce inerzia, immobilismo e indebolimento territoriale. Il comprensorio inizia a perdere pezzi per mancanza di un’autorevole rappresentanza.
La storia continua…