di SERAFINO CARUSO
Tante erano le famiglie, infatti, che sulla pesca fondavano il proprio sostentamento economico. Una fetta che è andata via via assottigliandosi. Rossano, almeno in tempi moderni, non si è mai dotata di un porto. Ha avuto una banchina di attracco (tipo quella tuttora presente a Trebisacce), ma è stata smantellata circa cinquant’anni fa. Allora, a Rossano arrivavano imbarcazioni di ogni tipo: finanche quelle che caricavano il legname che con la teleferica arrivava dalla Sila. Anche questa, poi, smantellata.
Due erano (e ancora sono, seppur in forte ridimensionamento) i “poli” della marineria locale rossanese: quello di Sant’Angelo e quello di contrada Fossa. Quest’ultimo un vero e proprio borgo di pescatori, interessato da una selvaggia pianificazione urbanistica negli anni ’80. Qualche altro pescatore era presente, e lo è ancora adesso, a contrada Zolfara. Per il resto, le piccole barche per la pesca che navigano lungo la costa sono più per hobby che per lavoro vero e proprio. Erano una cinquantina le persone impegnate nella pesca. Oggi ne sono rimaste all’incirca venti. Meno della metà, quindi.
Fare il pescatore a Rossano è diventato un azzardo. Non si guadagna quasi nulla. Si pesca sempre meno. E così molti figli non hanno seguito la strada dei padri. Il rischio ad andare per mare c’è ed è sempre molto forte. Nonostante tutte le cautele possibili, quando si ha a che fare con il mare e la sua imprevedibilità c’è poco da stare tranquilli. E se a questo si aggiunge la precarietà in termini di guadagni, il risultato è ovvio.
Abbiamo parlato con qualche pescatore di Rossano. Dei problemi che affrontano ogni giorno. Ogni settimana.
«Il mare non è più come prima – ci dicono – e lo vediamo giorno dopo giorno. Una volta uscivi in mare e rientravi con il pescato. Oggi le spese per il gasolio e la manutenzione sono maggiori dei guadagni. Il mare lo ha rovinato lo strascico delle grandi imbarcazioni. Hanno raschiato tutto e continuano a farlo. E le istituzioni cosa fanno? Nulla. L’Unione Europea permette, ad esempio, la pesca del tonno rosso alle grandi multinazionali. Invece, la pesca del novellame è completamente bloccata. Insomma, cosa dobbiamo fare? Il nostro mare è stato completamente distrutto».
Colpa delle reti a strascico delle grandi imbarcazioni, più che altro. Che quando vengono tirate su portano con sé tutto quello che trovano. Distruggendo anche le riserve di flora marina. Indispensabili per i pesci. Il problema, vuoi o non vuoi, è anche legato al fattore inquinamento. Se decine e decine di anni addietro l’inquinamento era a livelli minimi, oggi, purtroppo, non è più così. A lungo andare, ciò che arriva dai fiumi (in primis, il Crati e il Trionto, senza tralasciare fiumare e canali vari) devasta l’ecosistema marino.
«Le istituzioni – continuano i pescatori che abbiamo ascoltato – pensano ad altro. La verità è che delle nostre esigenze non interessa a nessuno fino alla campagna elettorale. Poi di nuovo il silenzio. Ci alziamo ogni mattina alle tre per mettere a posto reti e attrezzatura, nessuno è mai venuto a chiederci qualcosa. Nessuno è mai venuto a domandarci di cosa avremmo bisogno. Tutto ciò che facciamo e abbiamo è solo merito nostro. Noi non chiediamo null’altro che tutelare il mare. È necessario porre dei vincoli alla grossa pesca a strascico. Il problema è tutto lì. Dei costi del gasolio non ne possiamo più. Siamo oberati di tasse e spese. Se questo è l’andazzo, nessuno più vorrà fare il pescatore».
Già: nessuno più vorrà fare il pescatore se non può guadagnare niente.