Tra Paludi, Cropalati e Corigliano-Rossano si è tenuta l’anteprima della sesta edizione del Festival delle Spartenze, una manifestazione sulla emigrazione che si impegna a mantenere il forte legame tra “partiti” e “rimasti”, condividendone le storie, i progetti e i luoghi. E i luoghi del Festival non potevano essere che quelli delle aree interne, dei paesi sempre più deserti, sempre più “ridotti all’osso”.
Alla terza edizione, invece, è un particolare evento del festival, la Notte dei Ricercatori Italiani nel Mondo, un ritrovo e un omaggio ai docenti e studiosi italiani e calabresi che si affermano nelle varie prestigiose università mondiali. Al Centro Polifunzionale di Paludi, quest’anno la Notte ha affrontato il particolare tema “Il Dante delle Spartenze, le spartenze di Dante”, con le riflessioni dei relatori sui passi delle opere dantesche in cui emerge la nostalgia per Firenze, e il suo conseguente desiderio di ritornare a casa, il dolore per l’esilio, la mancanza del contatto con i cari e la relazione a distanza: desideri, nostalgie e dolori che occupano molta parte della vita degli italiani e degli italodiscendenti che vivono all’estero.
L’uso e le funzioni del dialetto
Il momento tanto atteso è stato l’intervento del linguista e filologo Luca Serianni, Professore emerito di storia della lingua italiana alla Sapienza, Socio dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia dei Lincei, ha condotto indagini su vari periodi e aspetti della storia linguistica italiana, dal Medioevo a oggi. L’illustre professore, a più riprese, ha incantato il pubblico con profonde suggestioni, ma con la semplicità dei più grandi studiosi. Partendo dal racconto dell’esilio di Dante, le riflessioni del prof. Serianni hanno spaziato su vari punti, dall’importanza del dialetto e la necessaria consapevolezza dei parlanti, senza tralasciare uno sguardo al mondo educativo attuale, rivolgendo un monito agli insegnanti a essere formatori entusiasti e ammalianti. «50 anni fa i linguisti erano convinti che il dialetto sarebbe stato destinato alla scomparsa, in realtà non è stato così. La vitalità del dialetto come sempre nelle lingue dipende dall’attaccamento dei parlanti. Dove però il dialetto resiste, penso al Veneto a parte dell’Italia meridionale e della Sicilia, resiste perché svolge alcune funzioni specifiche. Intanto è l’espressione dell’emotività nel senso più ampio del termine. Chi conosce un dialetto può arrabbiarsi in dialetto ma anche pregare in dialetto. Ma non può trattare di teologia o di filosofia in quanto il dialetto non è attrezzato per queste aree culturali. Detto questo, finché i parlanti lo usano, ha una sua vitalità ma come per tutte le lingue, laddove i parlanti non lo usano più, è chiaro che diventa artificioso tenerlo in vita. Penso ad alcune aree del Nord o dei centri cittadini, ma anche alla Sardegna, dove si parla una lingua romanza a tutti gli effetti, il Sardo, ma i genitori non la trasmettono ai figli infatti, negli ultimi tempi, il sardo si è molto indebolito. Ecco che i protagonisti sono sempre i parlanti». Il professore, raccontando del suo rapporto con la Calabria, in cui è stato diverse volte, ha puntato il dito contro la carenza infrastrutturale calabrese, non spiegandosi come la tratta ferroviaria jonica sia pressoché assente sebbene il treno sia un mezzo che non inquina e di cui non si può fare più senza. In ogni caso, è rimasto incantato dalla bellezza dei luoghi della Sibaritide e si ripromette di tornare quanto prima.