Nasce nella piana di Sibari il progetto Social Clementine che per gli ideatori dovrebbe dare una mano fattiva a tutti i piccoli proprietari.
La necessità di dare vita a questo progetto nasce dalla gravità delle condizioni economiche che affliggono il nostro territorio; migliaia di persone sono costrette a emigrare o a vivere di piccoli espedienti. Nell’ultimo censimento dell’agricoltura italiana si certifica, ancora una volta, che l’80% della piana di Sibari è costituita da piccolissimi appezzamenti di terreni.
Una forte segmentazione che non giova a nessuno tranne che a coloro i quali detengono oligarchie di potere. Piccoli terreni restano esclusi anche dai fondi comunitari poiché considerati poco “competitivi”.
Di fatto, gli attuali Piani di Sviluppo Rurale 2014-2020 non prevedono sufficienti misure per incrementare attività di cooperazione e di agglomerazione terriera.
“La conseguenza di tutto ciò – si legge in una nota – ci ha fatto ritornare al famoso fenomeno dell’accaparramento delle terre, che, tra qualche decennio, ci riporterà al vecchio latifondo. Il nostro progetto basato sui principi della cooperazione e su una metodologia fondata sull’economia civile, ha la finalità di generare processi sociali ad alto contenuto innovativo.
Il progetto – spiega ancora la nota – si pone l’obbiettivo di dare una valida alternativa a tutti i piccoli proprietari di agrumeti (Ex Opera Sila), di produrre, di trasformare e commercializzare i propri agrumi in piena autonomia, senza ricadere nei soliti ricatti dei consolidati poteri che si sono affermati per decenni in questo martoriato territorio. Con un tasso di disoccupazione giovanile del 45 %, il progetto ha, inoltre, lo scopo di avviare un processo di ricambio generazionale necessario per attutire quella frattura sociale e culturale che si è strutturata nel tempo nella comunità locale. Infatti, esso è rivolto anche ai figli degli agricoltori laureati e disoccupati, che vogliono mettersi in gioco per dare un futuro sostenibile ai sacrifici dei loro nonni e dei loro padri.
Di conseguenza, si creeranno nuovi posti di lavoro, si diversificherà la produzione con nuovi processi tecnologici, verrà creato uno spazio per la ricerca e l’innovazione e verranno offerti servizi gratuiti ai soci sia nel campo agrotecnico che nella sostenibilità economica e ambientale. Avremo bisogno di contadini, braccianti, economisti, esperti in marketing, manager, animatori sociali, progettisti, agronomi etc. Una pluralità di conoscenze ed esperienze – così termina la nota – che riporteranno a considerare la Piana di Sibari come un bene comune”.