Il letterato campano Giambattista Basile nel XVII secolo scriveva che “Lo cannaruto è ommo de bona vita”. Il cannaruto, dunque, è un uomo molto goloso al quale piace godere della bella vita, iniziando proprio dalla buona tavola.
Secondo un’altra visione, legata sempre allo stesso termine, il cannaruto/goloso è colui che compie i “peccati di gola” e Dante, in linea con la cultura medioevale, lo pone nel terzo cerchio dell’Inferno – come racconta nel VI Canto – tra quelli che per ingordigia commisero il peccato “de la gola”. Qui Dante e Virgilio si imbattono nel “goloso” Ciacco che era un fiorentino frequentatore delle case dei nobili della sua città e dove, da buon parassita, si dedicava solo al mangiare e al bere. Per questo viene collocato nel girone dei golosi, che sono condannati a restare, non avendo saputo dominare il primordiale vizio della gola, accovacciati per terra come animali, confitti nel fango e flagellati da una pioggia mista a tempesta.
Anche nella sesta cornice del Purgatorio Dante fa trovare i cannaruti/golosi, colpevoli di eccessivo amore per il cibo e le bevande. La loro pena è quella di correre senza sosta sotto degli alberi carichi di frutti e sulle rive di limpidi ruscelli, che però non possono toccare, perché devono essere tormentati dalla sete e dalla fame che viene accresciuta dai frutti e dall’acqua, a loro proibiti, che hanno intorno. Non potendo più mangiare sono di una magrezza spaventosa che fa aderire completamente la pelle alle ossa.
Anche la Bibbia condanna la cannaruteria/ghiottoneria come un peccato e la colloca esattamente nel campo della “lussuria della carne” (1Giovanni 2:15-17), paragonandola a una forma di idolatria perché quando il desiderio del cibo e delle bevande diventa troppo importante si trasforma in un idolo e qualsiasi forma di idolatria è una grave offesa a Dio.
Nemmeno nei Vangeli mancano i riferimenti ai cannaruti/golosi.
Matteo dice: “… non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?” (Matteo 6,25).
Per mettere a freno la cannuteria ci fu un tempo in cui si facevano i “fioretti”, in Quaresima e in altri periodi dell’anno, come sacrificio personale con il quale si prometteva, per un intervallo temporale definito, di rinunciare a fare il cannaruto evitando di mangiare le leccornie di cui si andava ghiotti e offrendo questa rinuncia come gesto d’amore e dono religioso.
Il cannaruto oggi deve barcamenarsi tra altre pene. Infatti diabete, colesterolo, fegato ingrossato, sovrappeso, pressione alta, sono sempre in agguato pronti a fare scontare direttamente sulla terra la pena per il peccato di cannaruteria/golosità.
Insomma, concludendo, tra Dante, Bibbia, Vangelo, salute, il povero cannaruto non ha proprio una vita facile e deve pagare a caro prezzo la sua debolezza nel cedere alle tentazioni della gola.
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a
Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica
sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato
il romanzo Le tentazioni della
politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri
del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito
anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione
dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,
Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,
Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.
Da fotografo dilettante cerca di cogliere
con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio
e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie
su Rossano Se chiudo gli occhi.