Uno studio internazionale coordinato da Unical e Ifom, su 30mila soggetti, ha individuato i livelli del fattore di crescita IGF-1 associati a un ridotto rischio di morte e gli alimenti che li influenzano.
C’è un valore, facilmente misurabile tramite le analisi del sangue, che molti studi di ricerca base epidemiologica hanno associato a un maggiore o minore rischio di morte. È il fattore di crescita IGF-1, ma la ricerca negli ultimi 30 anni ha solo confuso i medici perché alcuni studi indicavano che livelli alti – e altri che livelli bassi – di questo fattore potevano aumentare la probabilità di morte e l’insorgere di cancro e altre malattie.
Un nuovo studio internazionale dà una spiegazione a questi dati controversi, mostrando che sia i bassi che gli alti livelli ematici di IGF-1 aumentano il rischio di morte e ha identificato uno specifico intervallo medio associato alla mortalità più bassa (120-160 ng/ml). La ricerca, pubblicata sulla rivista Aging Cell, ha messo insieme i risultati di molti studi analizzando i dati di oltre 30.000 soggetti di età compresa tra i 18 e i 108 anni di diversa origine geografica.
COS’È IGF-1 – L’IGF1 (fattore di crescita insulino simile) è un ormone di natura proteica, che è importante nei processi di crescita e mantiene i suoi effetti anabolici anche in età adulta, contribuendo allo sviluppo e al mantenimento della massa muscolare, ma ha anche effetti sul muscolo cardiaco e sulle ossa. I valori ematici individuali di tale ormone, che possono essere facilmente misurati mediante delle normali analisi del sangue, aumentano durante la pubertà e si mantengono costanti nel giovane adulto, per poi declinare durante l’invecchiamento.
LA RICERCA – Lo studio è stato coordinato dai professori Valter Longo, biogerontologo e biochimico dell’IFOM, e Giuseppe Passarino, genetista dell’Università della Calabria. «Questo studio – affermano i coordinatori dello studio –, proprio perché rappresenta decenni di ricerche svolte in tutto il mondo, può aiutare le persone e il medico a intervenire sia sulla prevenzione delle malattie che sulla fragilità e longevità. Molte evidenze, sia epidemiologiche che di laboratorio, avevano precedentemente evidenziato che sia gli alti livelli di IGF-1 che quelli bassi sono associati a un aumento della probabilità di morte, creando così dubbi sul valore della misurazione di questo fattore nelle analisi del sangue. L’analisi condotta nel presente studio, grazie alla disponibilità di un campione molto grande e di un approccio statistico innovativo, ha permesso di comprendere che ciò è dovuto al fatto che se gli alti livelli di IGF-1 sono associati a mortalità dovuta a varie malattie dell’invecchiamento, i bassi livelli sono probabilmente non la causa ma la conseguenza di uno stato di fragilità, infiammazione e malattia. In altri termini, un alto livello di IGF-1 e altri fattori di crescita sembra accelerare invecchiamento e mortalità, mentre un valore di IGF-1 sotto 120 sembra essere semplicemente un indicatore di qualche problema o malattia che può portare alla morte».
LE PROSPETTIVE – Lo studio pubblicato su Aging Cell ha anche identificato gli alimenti che aiutano ad alzare o abbassare l’IGF-1, permettendo così al medico e al nutrizionista di aiutare il paziente a raggiungere livelli di questo fattore di crescita che possono aiutare a vivere più a lungo e sani.
«Questi risultati – suggerisce il professor Longo – possono indicare strategie diagnostiche, nutrizionali e farmacologiche per ottimizzare i livelli di IGF-1 e contribuire a ridurre la mortalità ma anche le malattie croniche dell’invecchiamento. Per esempio, lo studio riporta i risultati dell’analisi dei dati dell’indagine NHANES III (un importante studio epidemiologico condotto per diversi decenni negli Stati Uniti riguardo alle abitudini alimentari), che ha mostrato un’associazione tra un’elevata assunzione di proteine animali e prodotti a base di latte e livelli di IGF-1. Tale risultato è in linea con diversi nostri precedenti studi nei quali avevamo evidenziato che un consumo molto moderato di proteine animali aumenta significativamente l’aspettativa di vita. Ma attenzione, perché questo va modificato dopo i 65-70 anni, quando un consumo di proteine animali e vegetali più alto sembra essere più protettivo».
«Gli studi futuri – ha affermato il professor Passarino – cercheranno di comprendere meglio i meccanismi che sono alla base delle complesse interazioni tra IGF-1, nutrizione e salute dell’anziano. Tuttavia, è importante che da tali studi possano emergere già da ora indicazioni relativamente chiare e semplici per i medici e per i pazienti».
Fonte: Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra