Nato a Rossano il 21 agosto 1899 da Virgilio e Achiropita Dolente, Cesare Rossi esercitava il mestiere di calzolaio e di commerciante di scarpe e fin da giovanissimo aveva militato nel Partito Socialista ricoprendo nel 1920 la carica di vicesegretario della sezione di Rossano, all’epoca della prima amministrazione socialista della città.
Dopo il congresso di Livorno del 1921 aderì al Partito Comunista e per la sua storia politica era sorvegliato in modo insistente dalla polizia. Infatti nel 1920 fu sottoposto a processo per affissione di manifesti, ma il pretore il 4 giugno 1920 decise per il non doversi procedere perché il fatto non costituiva reato.
In una delle tante perquisizione che subì, nel 1924 fu trovato a casa sua un timbro con la dicitura “Sezione del Partico Comunista di Rossano” e una lista di contribuenti sottoscrittori dell’Avanti. Sottoposto di nuovo a processo nel 1926 per danneggiamenti, fu prosciolto il 17 febbraio 1926 dal pretore in quanto il fatto non costituiva reato. Comunque sempre nel 1926 fu diffidato dal questore di Cosenza in base all’articolo del TU di PS che prevedeva tale provvedimento per le persone “socialmente pericolose”. L’8 giugno 1929 fu invece condannato a pagare 20 lire di ammenda per contravvenzione alla legge di pubblica sicurezza.
Una relazione del prefetto di Cosenza del 29 novembre 1937 riferisce che Rossi faceva leggere i suoi libri, all’epoca sovversivi, “agli studenti De Simone Salvatore di Luciano e De Simone Espedito Antonio allo scopo di avvicinarli alle teorie comuniste”. Un’altra firmata dal Commissario di PS di Rossano, sempre del novembre del 1937, riporta che Rossi presentò Salvatore Marco De Simone ad alcuni confinati. Inoltre proprio insieme a Marco De Simone, Roberto Curti e Carmine Greco, in quel periodo, costituì a Rossano la prima cellula comunista cittadina. Sposato con Sigismina Toscano, Cesare ebbe otto figli per alcuni dei quali i nomi rispecchiavano la sua personalità: Spartaco Pasquale, Virgilio Carlo, Cesare junior, morto di tifo a 17 anni, Maria Achiropita, Italia Spagna Grazia, Alba Vittoria, Mario, morto ustionato all’età di due anni, e Gioconda. Con il clima di sospetti di cui la polizia fascista l’aveva circondato, intorno a lui si era creato il deserto con pesanti ripercussioni sulla sua attività commerciale e con conseguenti criticità sul bilancio familiare. Però la triste situazione economica mai incise sui suoi ideali e sull’impegno politico che ovviamente espletava con le accortezze che i tempi richiedevano.
La mattina del 30 marzo 1937 i rossanesi si svegliarono trovando sulle mura di un palazzo di Rossano delle scritte antigovernative e la polizia accusò Rossi di questo episodio, insieme ai due De Simone citati prima. Nello specifico un’artigianale perizia calligrafica trovò delle similitudini tra le scritte sul muro e la grafia di Espedito Antonio De Simone. Inoltre i tre vennero ulteriormente inquisiti per la bandiera rossa che fu posta il 4 novembre dello stesso anno sopra il Monumento ai Caduti, dove quella mattina si sarebbe dovuta tenere la cerimonia della celebrazione della vittoria della prima guerra mondiale.
Così nella seduta del 4 dicembre 1937 la Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia decretò per Rossi la pena della “ammonizione”. L’ammonizione consisteva in un provvedimento di polizia meno grave del confino. In pratica l’ammonito non aveva l’obbligo di soggiornare in una località stabilità dalla polizia, ma doveva mantenere nel proprio paese una determinata condotta, col divieto di frequentare o non frequentare alcuni luoghi e di circolare o di non circolare in determinati orari.
È quindi immaginabile l’atmosfera che in città lo circondava e che portava la sua clientela tradizionale dal guardarsi bene dall’andare a fare acquisti nel suo negozio, che invece fino ad allora aveva fornito le scarpe anche alla Rossano bene. Giuseppina Callegari, nota antifascista confinata a Rossano, in quel periodo abitava in affitto in una casa di proprietà dell’ebanista Isidoro Toscano, doppio cognato di Cesare Rossi perché ognuno dei due aveva sposato la sorella dell’altro. Risiedendo a fianco, Giuseppina frequentava casa Toscano e in un suo libro di ricordi parla della situazione di estremo disagio economico che vivevano i Rossi per le idee di Cesare.
Racconta: “Rossi, che aveva un negozio di calzature, essendo entrato nel mirino della polizia fascista, aveva visto sparire a poco a poco tutta la clientela, sicché la sua famiglia era ridotta alla fame. Con la moglie Gerosimina veniva di tanto in tanto a trovare la sorella cieca. Quando questa offriva loro qualcosa vi si gettavano come lupi affamati”.
Comunque il 16 giugno del 1938 avvenne un altro episodio che aggravò ulteriormente la posizione del Rossi. Infatti quel giorno degli operai che stavano eseguendo dei lavori nella Villa Labonia, trovarono in uno scantinato seminterrato alcune copie del giornale “L’Asino”, un foglio satirico socialista chiuso dal regime nel 1925, più una bandiera rossa dell’ex associazione giovanile comunista di Rossano, ventitré cartoline illustrate raffiguranti leader socialisti e comunisti e una quarantina di opuscoli editi dalla Casa Nerbini di Firenze, quella che nel 1897 aveva pubblicato “La redenzione della donna nel socialismo”.
Messo alle strette dalla polizia – si può immaginare con quali metodi – il giardiniere, custode della villa, il socialista Giuseppe Novelli, dopo aver prima negato di essere a conoscenza delle origini di quanto ritrovato, confessò che glielo aveva portato quattro anni prima Cesare Rossi, affinché lo nascondesse. La polizia invece sospettò che l’esigenza di nascondere il materiale fosse nata in Rossi dopo i fatti della bandiera rossa al Monumento ai Caduti, per evitare che saltasse fuori durante le perquisizione che subì in quella occasione.
Nella relazione che il prefetto fece su tale vicenda il 4 agosto 1938 è riportato che l’attività antigovernativa del Rossi era svolta con “circospezione nell’ambiente operaio e contadino e tra l’elemento giovane è veramente deleteria, per cui è considerato come persona da sorvegliare attentamente”.
Finalmente in una riservata della prefettura di Cosenza del 24 aprile 1942 indirizzata al Ministero si legge: “…il sovversivo in oggetto dal 1938 ad oggi non ha più dato luogo a rilievi con la sua condotta politica. Il Rossi però conserva tuttora idee contrarie all’attuale Regime e perciò viene riservatamente vigilato”. E il 31 agosto dello stesso anno, dopo una vita di lotta per le sue idee e di sofferenze, Cesare Rossi morì a Rossano a soli 43 anni. Rossano ha inteso onorare la sua memoria e per non disperderne il ricordo gli ha dedicato una piazza cittadina.
Martino A. Rizzo
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a
Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica
sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato
il romanzo Le tentazioni della
politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri
del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito
anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione
dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,
Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,
Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.
Da fotografo dilettante cerca di cogliere
con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio
e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie
su Rossano Se chiudo gli occhi.