Un mese dopo, il 5 dicembre 2022, decorso e superato il termine di trenta giorni senza ricevere risposta, ho inviato via PEC richiesta di riesame al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. In ordine sparso e non sempre nei tempi previsti, sono iniziate ad arrivare le risposte dalle Asp in modo puntuale e preciso. È il caso dell’Azienda di Crotone e poi di Reggio Calabria.
Oggi, a distanza di un anno e mezzo dalla prima richiesta di accesso agli atti, ho inoltrato nuova istanza alle Asp di Cosenza, Vibo e Catanzaro, precisando che in caso di ennesima mancanza di risposta sarà presentata richiesta di riesame al Difensore civico regionale, individuato dal legislatore come competente al recepimento dei ricorsi in materia di accesso documentale ai sensi della Legge 241/90 e non ancora nominato ai tempi del primo accesso agli atti.
A distanza di un anno e mezzo ho raccolto dati importanti di un fenomeno che, oramai è una certezza, è ignoto tanto alle Aziende Sanitarie quanto all’Ufficio del Commissario ad acta della Sanità. Eppure questo fenomeno lo possiamo considerare un problema che va a minare alla base la struttura organizzativa delle nostre aziende sanitarie, poiché coinvolge medici, OSS, infermieri, tecnici di laboratorio, che svolgono ruoli diversi, per lo più amministrativi, rispetto a quello per i quali sono stati assunti. È quindi corretto chiedersi come è possibile amministrare correttamente un’azienda se non si conoscono i numeri precisi degli impiegati che ci lavorano?
Solo all’Asp di Reggio ci sono 343 unità coinvolte: 79 medici, 4 dirigenti, 208 tra personale infermieristico/tecnico sanitario, 31 operatori tra operatori socio sanitari/ausilio/operatori tecnici/assistenti sociali e 10 amministrativi. Numeri che sommati agli altri in mio possesso fanno arrivare il conteggio a 913 dipendenti del servizio sanitario calabrese considerati inidonei a lavorare in corsia e pertanto destinati altrove, anche negli uffici. A questi dati mancano per l’appunto quelli relativi alle Asp di Cosenza, Catanzaro e Vibo Valentia, che potrebbero farci superare le duemila unità in tutta la regione.
Mi prece precisare altresì che questa ricognizione non vuole essere una caccia alle streghe, bensì un tentativo di mettere ordine nel caos della sanità pubblica calabrese. A tal fine ho anche proposto una legge anti imboscati, che prevede innanzitutto una ricognizione completa del personale sanitario cosiddetto “imboscato”. Allo scopo di garantire trasparenza, si propone di affidare la valutazione della inidoneità all’Inps, o a un soggetto terzo, e non al medico competente della stessa azienda. Inoltre, le inidoneità certificate dovrebbero portare ad una rivalutazione della pianta organica, ovverosia conteggiare nel personale amministrativo il sanitario che non svolge più la mansione di sanitario a causa della sua inidoneità così da poter provvedere alla sua sostituzione. Stabiliva, infine, il divieto di spostamento a mansioni diverse da quelle di assunzione prima dei dieci anni di servizio. Purtroppo ad oggi la mia legge non risulta ancora calendarizzata in commissione.
Comunicato stampa