Quella del 31 marzo 2018 sarà una data storica, una di quelle che resterà nella memoria dei cittadini che compongono l’immenso puzzle della terza Città della Calabria: Corigliano-Rossano.
La nostra è una fusione che fa scuola, la più grande di tutto il territorio nazionale ed anche (vizio o virtù?) la più rapida. Sono felice del connubio delle due cittadine, un po’ meno per tutto quello che ci sta attorno: due giunte inesistenti, oggi come allora; un’incertezza generale che pare non voler proprio abbandonare la scena; gli avvoltoi del consenso intenti a metterci “il cappello” sopra. Tra questi, si annoverano i soliti volti, gli stessi che non perdono mai occasione di rivendicare la paternità di tale impresa. Un’impresa “giocata e vinta” contro un esercito (o Popolo, fate voi) di NO. Intenti, questi ultimi, a chiedere più chiarezza, trasparenza, calma, ma fatti passare allora e ancora oggi come degli eretici, dei campanilisti, ergo, “nemici del Popolo e del progresso”. Ma tant’è. È ufficialmente partita, probabilmente in vista delle prossime amministrative (per alcuni unico mordente pro-fusione o contro-fusione), una sorta di conventio ad excludendum nei confronti di chi, in un’epoca pre-22ottobre, abbia manifestato contrarietà o scetticismo nei riguardi del suddetto processo aggregativo.
È anche vero che a Corigliano c’è chi ancora parla di una storia venduta, di un paese morto, di un Santo Patrono compromesso. Ma sono deliri che non fanno testo, anzi, a mio dire, mettono un notevole imbarazzo. Che ci piaccia o no, questo altro non è che il rimasuglio di una campagna referendaria ridotta ad una pochade internettiana, troppo poco spesso erta a confronto sui contenuti.
Ma adesso è il momento di dire basta. Adesso abbiamo solo bisogno di unità. Mettiamo da parte gli screzi frutto di una cattiva gestione del dibattito e riportiamo la discussione in una dimensione di civiltà, proprio com’era partita. Condanniamo chi si sente ancora nel pieno della campagna elettorale, chi ha la presunzione di dire che la “buona politica” si trovi da una parte piuttosto che da un’altra. Dobbiamo farlo, è necessario. Perché se vogliamo ridare fiducia alla classe politica, se vogliamo davvero recuperare la siderale distanza che ad oggi c’è, ed è netta, tra cittadini e politica, abbiamo l’obbligo di portare qualità, concretezza e serenità proprio al linguaggio politico.
Uniamoci a sostegno delle nostre istituzioni, attorno questo progetto di fusione. Sicuramente non condiviso da tutti, ma voluto dalla maggioranza. E tanto basta. Perché qui non si tratta più di volere o non volere una fusione, ma di rispettare o non rispettare il voto di un Popolo. Che è il nostro Popolo!
Allora auguriamoci che questa fusione non si riveli solo un orpello mediatico atto a ridare una verginità politica a chi da anni l’ha persa, piuttosto che sia una scossa, una scossa forte e decisa, che inneschi un reale processo di cambiamento, quasi rivoluzionario. Perché a queste latitudini ne abbiamo proprio bisogno. Qui non si lavora, si “tira a campare”. Abbiamo un classe imprenditoriale che, oltre ad essere martoriata dall’oppressione burocratica e fiscale, si trova ad operare in un contesto mediocre (a tratti regressivo) che disincentiva crescita e investimenti. Questa frustrazione, spesso, e in malo modo, viene riversata sui lavoratori (troppo poco esigenti e per niente rappresentati) in termini di retribuzione e tutele. A trovar impiego sono sempre meno, salvo sommersi e sottopagati.
Qui si scappa, non per scelta ma per necessità. Ad andar via e non tornare più, sono centinaia di giovani (e non) costretti ad emigrare per trovare una realtà diversa, un contesto sociale appagante, che sia presupposto di crescita personale e professionale.
Qui la gente rinuncia a curarsi, causa tempi dilatati, inefficienza pubblica o mancanza di risorse.
Qui si vive in una bolla, tutto è più lento, più obsoleto. Siamo totalmente fuori da determinate logiche del progresso, in termini di trasporti e collegamenti, ma anche di qualità della vita.
Viviamo in un contesto gerontocratico, con una classe dirigenziale dormiente, supina sui propri blasoni conquistati grazie ad anni, interi decenni di camarille e clientele.
Insomma, meglio non continuare. Inutile filtrare una realtà che ormai è routine ed è sotto gli occhi di tutti, altrimenti diventa una delle solite note di denuncia che si aggiunge alla pletora fin qui letta. Non voglio questo. Voglio solo una realtà diversa, o quantomeno manifestarne la speranza. Una realtà che rispecchi le virtù e l’animo di questo territorio e delle persone che lo vivono.
Abbiamo un passato glorioso ma un futuro compromesso, allora rimbocchiamoci le maniche e facciamo in modo che questa fusione dia il “la” ad una melodia rivoluzionaria, che ponga al centro il cittadino e la sua massima realizzazione. È arrivato il momento di potare i capelli bianchi dalle teste istituzionali e di dare voce all’enorme fetta di cittadini, arrabbiati e mortificati, che adesso chiede solo una cosa: evolversi, per rimanere e non scappare.
Facciamo della nascente Corigliano-Rossano una Città che dia dignità ai suoi abitanti, che garantisca i servizi fondamentali e che metta al centro l’economia locale, favorendo il dinamismo imprenditoriale e stimolando posti di lavoro. Una landa meravigliosa, che attragga investitori, turisti e curiosi vari.
Possiamo farlo, ne abbiamo le possibilità! Bisogna soltanto rimanere uniti. Nel tempo è mancata la voglia, o forse la lungimiranza. Ma una cosa è certa: è terminata un’epoca e ce ne aspetta subito un’altra. Viviamola!
(fonte: comunicato stampa)