La banda gestiva gli alloggi popolari per assegnarli a soggetti contigui o vicini, tra cui parenti di esponenti condannati per reati di mafia (alcuni dei quali 416 bis). E chi ne aveva diritto veniva sbattuto fuori mediante atti di intimidazione e minacce. L’attività investigativa ha accertato tuttavia un solo appartamento i cui inquilini (legittimi assegnatari) sono stati sottoposti a continue vessazioni e gravi danneggiamenti, anche interni all’abitazione. L’obiettivo era sfrattarli e i metodi erano quelli di fare terra bruciata, togliendo per esempio, l’energia elettrica o l’acqua. I carabinieri hanno validi motivi per supporre analoghi comportamenti nell’assegnazione di appartamenti di edilizia popolare all’interno dello scalo di Corigliano. A tal riguardo le indagini proseguono a pieno ritmo, in sinergia con l’Aterp di Cosenza.
In sostanza è stata emessa un’ordinanza applicativa di tre misure cautelari in carcere dal Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, diretta da Nicola Gratteri
Le indagini, condotte dai militari della Sezione Operativa della Compagnia di Corigliano Calabro, traggono origine da diverse segnalazioni provenienti dai legittimi assegnatari di abitazioni di edilizia residenziale pubblica (comunemente conosciute come case popolari), in cui si affermava che diversi immobili erano stati arbitrariamente occupati da persone ivi sistemate dagli odierni arrestati.
Più in dettaglio, il quadro delineato si fonda sulle attività investigative svolte dai Carabinieri ausonici che hanno permesso di appurare come in almeno un caso, presso un alloggio popolare dello scalo di Corigliano, gli indagati compivano ripetute azioni, attuate con modalità mafiose, finalizzate a coartare i legittimi titolari ed a provocare in loro la rinuncia ad un diritto patrimoniale, con il conseguente danno materiale e morale. Tali azioni erano finalizzate non solo a preservare l’impunità degli indagati, ma anche e soprattutto a far conservareall’illegittimo possessore l’utilizzo dell’appartamento occupato, attraverso l’intimidazione del legale titolare.
Gli arrestati utilizzavano veri e propri metodi d’intimidazione mafiosa, per il qual motivo il G.I.P. ha ritenuto sussistente l’aggravante del metodo mafioso: alle vittime indicavano la parentela dell’illegittimo possessore dell’alloggio popolare, da loro sistemato, con un soggetto già condannato per reati associativi, ingenerando negli stessi un inevitabile timore, cui si aggiungevano affermazioni minacciose e danneggiamenti compiuti per entrare nei locali o nelle loro pertinenze.
Inoltre il profilo criminale dei tre soggetti veniva appurato non solo dai loro precedenti penali, reati contro il patrimonio e la persona e nei confronti di PAGNOTTA anche reati associativi,che certificavano la loro persistenza di una specifica capacità a delinquere rivolta al detrimento del patrimonio e della libertà altrui, ma anche dal loro inserimento nel contesto criminale locale, tanto da potersi permetteredi spendere il nome di un soggetto già condannato in via definitiva per il reato di associazione mafiosaed ingenerare uno stato d’intimidazione nei confronti delle vittime.
Contestualmente sono state eseguite diverse perquisizioni domiciliari, anche con l’ausilio delle unità cinofile dello Squadrone Carabinieri Cacciatori di Calabria e controlli mirati nelle case popolari dello scalo coriglianese per acclarare altre illegittime occupazioni.