‘a ‘nchianata ‘e ra Chiesa Ranna a Rossano, racconto di Martino A. Rizzo

Nel Centro Storico di Rossano la strada che da Piazza del Popolo conduce alla Cattedrale è la prova provata della vivacità che un tempo si respirava nella Città. Passandoci oggi, si ha difficoltà a credere che in quelle poche decine di metri potessero convivere tante attività commerciali e tante abitazioni, sintesi perfetta di un mondo strapaesano che ormai si può solo raccontare. E ci si riferisce solo alla famosa “Salita”, ovvero in dialetto la cosiddetta “nchianata ‘e ra Chiesa Ranna”, l’attuale via don Ciro Santoro, lasciando da parte Piazza del Popolo – a Gghiàzza – che merita un altro lungo discorso a parte.

Partendo dalla curva, al termine di Via Minnicelli, immettendosi nel bivio tra Piazza del Popolo e via don Ciro Santoro, s’incontrava subito “il corararo”, uno stagnino, seguito dal salone di barbiere di Cirullo dopo il quale c’era la bottega di don Nilo Vergadoro che offriva in vendita i prodotti del suo vicino forno situato nella Travaglia, in via degli Alberghi, e altri pochi articoli di genere alimentare. Quando Vergadoro chiuse questa rivendita, il locale venne utilizzato da “u merlettaro”, Pasquale Di Penna detto “u baresǝ” e poi dai siciliani Tonino e Turiddu Cucinotta con le loro stoffe e corredi. A seguire si trovava la bottega di ferramenta di mastro Arturo Mingrone e subito dopo il negozio di materiali da costruzione di don Maruzzo Caputo che aveva un deposito nella piazza, a poche decine di metri di distanza. A fianco di Caputo c’era “Cosimino u piattaro”, di Grottaglie, che vendeva oggetti di terracotta. Il locale venne poi rilevato dalla famiglia Cicala che ci aprì una rivendita di frutta e verdura, fino a quando si trasferì con armi e bagagli allo Scalo. Passati alcuni portoni di abitazioni si trovava l’osteria di don Peppino Saraceno e il negozio di generi alimentari delle sorelle Sacco, una delle quali, donn’Elena, aveva sposato il cosentino Marino Serra.

Superato l’incrocio della Travaglia c’era il negozio di don Peppe Barbieri, da tutti conosciuto come “don Peppe u siciliano” perché originario di Messina. Il locale venne poi ceduto a “Totonno e Lagaccia” in quanto don Peppe si trasferì allo Scalo, di fronte al distributore Esso di Graziano, dove oggi c’è il fotografo Santella.

Da notare come persone provenienti da Messina, Grottaglie, Bari e tanti altri posti venivano ad aprire esercizi commerciali nel Centro Storico di Rossano che era considerato una piazza interessante sulla quale puntare. Continuando a salire, vicino a don Peppe, si trovava il tabacchino di Gigino Santoro, padre del monsignore Ciro che abitava sempre in questa strada. A seguire c’era la rivendita di articoli da regalo, casalinghi e utensileria varia di don Peppinuzzo Sacco che, per la varietà dei prodotti che offriva, richiamava clientela da tutti i rioni del paese.

Superato il portone dell’abitazione dei fratelli Rizzo, “i minnali”, c’era il salone di barbiere di mastro Nilo Lefosse dove lavoravano anche i suoi figli. Di fronte si trovava il cosiddetto “palazzo e ru principe” con due ingressi: uno sotto il terrazzino che immetteva in casa Santoro e un grande portone dal quale si entrava nell’abitazione di “don Ciccio e ru Principe”, il sig. Francesco Cosentino, e in casa Romano. Accanto al salone di Lefosse, per un periodo ci fu il negozio di tessuti del sig. Marcello, altro forestiero, che poi spostò l’attività nell’angolo del palazzo Camparota, tra Piazza Matteotti e Piazza Santi Anargiri, proprio di fronte all’antico bar Romano, oggi ingresso della Sala Consiliare. A solo scopo di curiosità, la figlia del sig. Marcello aveva sposato Ricciardi, un calciatore forestiero che era arrivato in Città per giocare con la Rossanese e che poi ci restò, mise su famiglia e un punto vendita di scarpe sotto palazzo Rizzuti. In una zona così frequentata poteva mancare una latteria? No, e così per sopperire a questa esigenza, quando Marcello si spostò in centro, nello stesso locale aprì la rivendita del latte “Miluzzo u craparo”, Emilio Avena. Dopo la casa dei “campisantari” si trovava invece la sartoria di mastro Dinuzzo Sacco.

L’antica farmacia di Rizzo Corallo era un altro patrimonio della strada perché, a parte quella dell’Ospedale che era aperta a intermittenza, in paese divideva la vendita dei medicinali solo con la farmacia Barone che si trovava in Piazza Steri e serviva la Rossano centrale e quella alta, mentre tutta la parte bassa del paese utilizzava quella di Rizzo Corallo che così, con la sua numerosa clientela, contribuiva ad animare la via.

Appresso la farmacia c’era il negozio di tessuti dei De Simone, “i Brunisi”, con donna Maria alla vendita. Brunisi era il soprannome che individuava i De Simone di Rossano forse perché la famiglia era originaria di Serra San Bruno o perché qualche antenato aveva la carnagione bruna.

“La Provvida” antica cooperativa, poi di proprietà di Scino e a seguire dello “Zurro”, vendeva a basso costo generi di ogni tipo, cibo, bevande, articoli per la pulizia, ecc.

Di fronte allo Zurro c’era la pescheria che la mattina concorreva, con le urla dei pescatori che pubblicizzavano i loro prodotti, a rendere ancora più frenetica la strada.

Sul lato destro della strada, in un piccolo slargo, piazzava la sua bancarella mastro Luigi Sena che con i giocattolini in bella vista affascinava i ragazzi che ci passavano davanti. E poteva mancare un negozio di scarpe? No e infatti c’era quello di Scaramuzza, “Settecapi”, che vicino aveva il calzolaio Scino. Completava l’offerta commerciale della via l’antica oreficeria di Lavorato della quale si ha notizie fin dalla fine dell’Ottocento.

Purtroppo, però, per acquistare la carne bisognava invece scendere nella vicinissima Piazza del Popolo, comunque a due passi. Insomma in una strada c’era un mondo che faceva respirare l’atmosfera autentica del paese e a percorrerla non ci si annoiava grazie alle tante botteghe presenti e alle persone che la frequentavano.

Può darsi che in questa carrellata qualcosina sia sfuggita oppure che sia stata riportata in modo non proprio esatto in quanto la memoria può essere fallace e quindi sono graditi consigli e suggerimenti, si spera comunque che questo articolo riesca a far cogliere l’idea di fondo che vuole rappresentare e cioè che c’è stata una Rossano piena di gente e di vita che oggigiorno non esiste più e pertanto si può solo raccontare.

Martino A. Rizzo 

 

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo è un grande curioso di storie e avvenimenti rossanesi,

coriglianesi e più in generale calabresi e gli articoli che prepara per Informazione & Comunicazione non sono altro che il risultato delle ricerche utili a soddisfare queste sue curiosità. Frutto di tale attività è stata anche la realizzazione del sito www.AnticaBibliotecaCoriglianoRossano.it che ormai si è meritato un posto di rilevo tra i siti contenenti libri, articoli e fotografie sulla Calabria, tutti liberamente scaricabili.

Una risposta

  1. Un bel pezzo quello scritto dall’amico Martino, uno studioso della storia di Rossano. Direi figlio d’arte, buon sangue non mente in considerazione di quella stessa passione che nutriva suo padre Mario, insegnante di lettere e successivamnete preside della sciol media di Rossano. Non tutti sanno che scrisse un dizionario in “lingua” rossanese, corredato da frasi ed indovinelli. Un libro che dedico’ ai suoi tre figli Filomena Rita, Antonella e Martino Antonio. Una passione, dunque, tramandata da padre a figlio che ne ha raccolto l’amore verso il propio paese, nel linguaggio tra amici ed in famiglia, per non dimenticare nemmeno una parola del dialetto rossanese ritenuta dagli studiosi una disciplina linguistica in un contesto storico e sociale.Caro Martino, hai scritto tutto, non ci msncs proprio nulla. Anzi, ti dirò sottovoce. che nell’incipit ho trtovato uno stile manzoniano. Un bel pezzo quello scritto dall’amico Martino, uno studioso della storia di Rossano. Direi figlio d’arte, buon sangue non mente in considerazione di quella stessa passione che nutriva suo padre Mario, insegnante di lettere e successivamnete preside della sciol media di Rossano. Non tutti sanno che scrisse un dizionario in “lingua” rossanese, corredato da frasi ed indovinelli. Un libro che dedico’ ai suoi tre figli Filomena Rita, Antonella e Martino Antonio. Una passione, dunque, tramandata da padre a figlio che ne ha raccolto l’amore verso il propio paese, nel linguaggio tra amici ed in famiglia, per non dimenticare nemmeno una parola del dialetto rossanese ritenuta dagli studiosi una disciplina linguistica in un contesto storico e sociale.Caro Martino, hai scritto tutto, non ci msncs proprio nulla. Anzi, ti dirò sottovoce. che nell’incipit ho trtovato uno stile manzoniano. (Salvatore Lagaccia)

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