Che Gemma di libro! Franchini e il memoir sulla madre “che puzza”, un cerchio ben costruito ma che non si chiude

UN PERSONAGGIO E UN LINGUAGGIO INCENDIARI

«Benché da molti sia considerata una bella donna, mia madre puzza». Un incipit così spiazzante e in medias res potrebbe ricordare quello de “Lo straniero” di Camus, ma in quest’opera di francese e di esistenzialista c’è poco. “Il fuoco che ti porti dentro” di Antonio Franchini (Marsilio, febbraio 2024), arrivato secondo al premio Campiello di quest’anno, fa la spola tra il povero e verace Sud Italia del secondo dopoguerra e la borghese e frenetica Milano di fine millennio. E neanche ipotizzata è la solidarietà dalla protagonista Angela Izzo, una “sgherra”, sannita fin dentro le ossa, a cui il figlio non risparmia alcun’ingiuria.

Con una prima pagina così e un titolo e una copertina accattivanti, le premesse di un capolavoro c’erano tutte, tanto più che molti me ne avevano parlato in termini entusiastici e in rete non si trova una recensione negativa. E non sarà questa la prima, sia chiaro, il testo io lo consiglio, ma non per quella che, a torto e frequentemente, è considerata la “sostanza”. Ogni libro, del resto, viene interiorizzato diversamente a seconda del momento, dello stato d’animo, del livello culturale e purtroppo anche dei pregiudizi e delle aspettative.

Alla quarantesima pagina l’incantesimo dell’intreccio, in me, ha cominciato a deteriorarsi e la prosecuzione della lettura è stata lunga e trainata dalla lingua affascinante e dall’auspicio che il contenuto rientrasse su un qualche binario. Che il sistema dei personaggi evolvesse. Ma, come tra madre e figlio, il cerchio è rimasto aperto, alimentato da negazioni e attese reciproche puntualmente frustrate.

A me sembra che, più che scrivere un memoir sulla genitrice, Franchini ci abbia ricordato, e meno male, quanta sia varia, emozionante e letteraria la lingua italiana e quale forza evocativa detenga chi sappia giostrare una Koiné che fonde espressioni da “vascio”, “sciacquando i panni” nel Golfo di Napoli (si veda Nota finale) e citazioni greche senza risultare mai ostica. Una sorta di plurilinguismo dantesco, insomma, condito da un brillante gusto aforistico e da quell’Ironia che consente di dire tutto e il contrario di tutto in Letteratura e in cui pochi son Maestri.

«La detesto da sempre». «Ne detesto il qualunquismo, il razzismo, il classismo, l’egoismo,l’opportunismo, il trasformismo, la mezza cultura peggiore dell’ignoranza».

«La sua concezione della vita mi ha sempre fatto schifo».

«Il dubbio che gli esseri umani e gli accadimenti del mondo possano anche essere diversi da come lei se li è immaginati non l’ha mai sfiorata».

«Angela odia sia per differenza che per affinità, e per affinità odia ancora più intensamente. Non concede mai al vento della sua avversione un rifugio in cui placarsi, ma gli lascia davanti una prateria dove soffiare senza requie».

«Angela si aggira in questo magma combustibile con uno stoppino sempre acceso in mano e solo l’imbarazzo della scelta su dove innescarlo».

Angela non ha avuto amiche, non ne ha sentito la mancanza. «Ha sempre creduto che gli amici ti invidiano, rubano il tuo tempo, in fondo vogliono il tuo male. Sostiene che l’amicizia tra donne non può esistere, tanto meno quella tra maschi e femmine, perché i maschi dalle femmine vogliono una cosa sola. Le amiche delle mie sorelle sono approfittatrici o puttane, i miei scostumati o stronzi. A meno che non siano figlie o figlie di quelli che definisce “professionisti”: medici, ingegneri, avvocati o commercialisti come mio padre».

La madre è incoerente, “bipolare”, oppositiva, cattolica a modo suo, viaggiare non le piace, cambiare abitudini le fa paura, non ascolta gli altri, questiona per l’accompagnamento, infligge vaniloqui, entra a piede teso nella vita dei figli, non è capace di dimostrare amore. «È altezzosa manco discendesse dai “signori principi dell’Eubea, guerrieri famosi”, maestri nell’uso della spada, ai quali accenna Archiloco nel frammento numero tre».

«Se riuscisse ad argomentare un po’ oltre gli spurghi di rabbia e gli insulti che caratterizzano i suoi monologhi sui destini del mondo, verrebbe fuori che una mezza dittatura sarebbe la sua forma di governo ideale».

Anche l’ospedale la dimetterà per disperazione quando sembra prossima alla morte. Nulla la tramortisce, né lo squilibrio mentale, né la saturazione a 65 e l’emoglobina a 6.

Ma, prima che diventi cenere e l’autore ci confidi che le 220 pagine non sono state “una scrittura liberatoria”, fluttuiamo tra “lacerti di un’altra vita” in un Meridione spesso mal interpretato dal Nord (e viceversa), facendo le bottiglie (la salsa), affacciandoci su quartieri come il Vomero o il Vasto, cibandoci per necessità e piacere, onorando il riposino pomeridiano, dando del “voi”, passeggiando tra i fichi d’india. E assistendo all’esilarante episodio in cui Angela riceve un’ingiunzione per aver fatto costruire una tettoia sul terrazzo della casa al mare: «In quegli anni esplode la strategia della tensione. Ci sono tentativi di golpe, in Italia e nel mondo, attentati sanguinosi, delitti politici e di mafia, ma per noi c’è soltanto la tettoia, con le udienze, i rinvii, gli strascichi, le infinite interpretazioni su ogni atto di una vicenda giudiziaria che richiede lo stesso lavoro della commissione stragi».

La materia incandescente dell’esordio, quest’inesauribile vaso di Pandora che è Angela, caratterizzata fino al parossismo, brucia sino alla fine ma dà l’impressione di non amalgamarsi come in un romanzo tradizionale… E, infatti, lo si può lasciare sul comodino e leggerne un paragrafo quando si ha voglia.

Sulla storia di formazione, se mai volesse essercene una, prevalgono, a tratti straripando, il linguaggio e il personaggio. Sono accennate diverse altre figure, narratore compreso, ma si dissolvono tutte come sotterrate da un’eruzione del Vesuvio.

«Angela ha messo, nel voler essere personaggio, la stessa determinazione che altri mettono nel voler essere autori. Per essere personaggio ha forzato i toni, ha calcato la mano, ha esagerato abdicando a ogni delicatezza, pestando con strepito ogni passo sul palcoscenico della vita. Si è ribellata a tutto. Mi ha trasmesso la greve immanenza. Non ha lasciato l’ultima parola a nessuno».

Gemma

N.B.: Il disegno è di Elisa, che non è più mia alunna, ma è contenta di continuare a dare il suo contributo.

Gemma Guido LIBRO

Che Gemma di libro! ~ di domenica su I&C

Gemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli.
Dopo qualche anno nelle scuole del Cuneese, ora insegna Lettere al Liceo artistico di Ciampino. In precedenza è stata corrispondente de “Il Quotidiano della Calabria”, editor e correttrice di bozze. Le piace mangiare (anche se non si direbbe!), andare al cinema, viaggiare e camminare. Crede che i suoi genitori l’abbiano ormai perdonata per aver trasformato la loro casa in una biblioteca. E che l’ironia, i cani e la poesia salveranno il mondo. Oltre alla lettura, naturalmente!

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