San Gerolamo Penitente al Castello di Corigliano, racconto di Martino A. Rizzo

San Gerolamo Penitente appartiene a pieno titolo a quelle figure religiose che nella storia dell’arte sono state raffigurate molte volte in quanto la loro vita ha offerto agli artisti valide ispirazioni da trasformare in dipinti. San Gerolamo era un religioso di alta cultura, biblista, traduttore, teologo e monaco cristiano romano, visse tra il IV e V secolo d.C. Di fronte all’accusa di preferire la letteratura profana a quella religiosa, di seguire il “sogno ciceroniano” e l’utopia di un aldilà di giustizia e perfezione intellettuale dove trovare un riscatto dalla corruzione e dalla degenerazione politica, si ritirò nel deserto della Calcide e vi rimase un paio di anni vivendo la dura vita eremitica dedita alla contemplazione e alle pratiche ascetiche, allo stesso tempo imparando l’ebraico e perfezionando il greco che già in parte conosceva. Questo periodo del deserto ha ispirato numerosi pittori che lo hanno rappresentato accanto a un leone, al quale si narra che aveva tolto una spina che gli si era conficcata nella zampa, oppure mentre fa penitenza infliggendosi colpi con un sasso. Nel dipinto del Santo, oltre ai libri sui quali studiava, compare spesso il teschio che simboleggia la penitenza e la consapevolezza della morte.

Tra i più importanti dipinti di San Gerolamo si possono ricordare quello di Piero della Francesca del 1450 conservato nella Gemäldegalerie di Berlino, quello di Antonello da Messina del 1460 ca a Reggio Calabria, quello di Leonardo da Vinci del 1480 della Pinacoteca Vaticana, quello di Paolo Veronese del 1580 circa del museo di Castelvecchio a Verona, quello di Caravaggio del 1605 circa che si trova a Montserrat, vicino Barcellona, per citare i più famosi.

Comunque, quello presente nel Salotto (sala Apollo) del Castello di Corigliano, non è ugualmente famoso come le tele citate, ma dal confronto con questi dipinti non ne esce affatto perdente. Insieme a un dipinto dell’Ascensione attualmente presente nella stanza da letto del barone, pare che fosse stato commissionato dai Saluzzo, proprietari del Castello prima della famiglia Compagna, per la cappella. Ma mentre il quadro dell’Ascensione è attribuito a Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio, per il San Gerolamo esistono incertezze sull’autore. Di sicuro può essere datato intorno alla seconda metà del ‘600 e riassume al meglio i dettami pittorici dell’epoca, segnati nel Mezzogiorno dalla profonda traccia che Caravaggio, Luca Giordano, Francesco Solimena, lo stesso Baciccio e altri avevano lasciato e che secondo la tendenza dell’epoca voleva mettere in risalto nei personaggi della pittura religiosa innanzitutto la loro anima popolare connotata da una profonda umanità capace di fare arrivare senza indugi il messaggio mistico, non sminuendo al contempo la carica devozionale e i sentimenti che si volevano trasmettere.

Il San Gerolamo del Castello è immortalato mentre, avvolto in un mantello rosso, tiene in mano un grande crocifisso che fissa con uno sguardo che sembra pietire il perdono da parte di Cristo. Ha la barba lunga e il corpo magro a causa del digiuno nel deserto, ma comunque con una muscolatura messa in risalto, insieme alla barba, dalla luce che colpisce la parte destra del corpo, mentre tutto intorno non mancano i suoi preziosi libri, il leone che, mansueto ai suoi piedi, sembra voler partecipare con grande rispetto al momento religioso e il teschio.

Nel dipinto con il rosso del mantello e la raffigurazione del fisico risalta la franchezza della pennellata che trova il punto più alto nella intensità espressiva del volto del Santo capace di trasmettere la drammaticità dell’intenso momento che sta attraversando nella solitudine del deserto. Sullo sfondo si intravedono rocce, nuvole, buio, il buio della morte, il buio del peccato, un buio sul quale però primeggia ed emerge la sua figura.

Mettendo il San Gerolamo di Corigliano accanto a quello di Caravaggio e a quello di Paolo Veronese risultano evidenti i punti di contatto e il valore dell’opera presente nel Castello, che meriterebbe di essere valorizzata maggiormente. Infatti attualmente è collocata in un angolo del salotto del maniero e i visitatori che ne vorrebbero apprezzare i particolari non possono avvicinarsi al quadro in quanto sono tenuti lontani da un cordone che indica il percorso obbligatorio della visita.

Questi due quadri del Castello quando giunsero in Calabria evidentemente furono molto apprezzati e così vennero subito replicati, in dimensione ridotta. Pertanto oggi c’è un’Assunzione che ricalca quella del Castello nel Museo Diocesano e del Codex di Rossano, mentre una tela, copia del San Gerolamo di Corigliano, attualmente è custodita nella sacrestia della Cattedrale di Rossano. Si ritiene che queste due repliche siano opera di Daniele Russo (XVII secolo), pittore calabrese allievo di Ippolito Borghese, un altro artista che ha dato molto all’arte e ha il merito di aver impreziosito con le sue opere la Chiesa di Sant’Anna di Corigliano.

 

I racconti di Martino A. Rizzo ~ di mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo è un grande curioso di storie e avvenimenti rossanesi, coriglianesi e più in generale calabresi e gli articoli che prepara per Informazione & Comunicazione non sono altro che il risultato delle ricerche utili a soddisfare queste sue curiosità. Frutto di tale attività è stata anche la realizzazione del sito AnticaBibliotecaCoriglianoRossano che ormai si è meritato un posto di rilevo tra i siti contenenti libri, articoli e fotografie sulla Calabria, tutti liberamente scaricabili.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati: