Che Gemma di libro! I giorni di vetro di Nicoletta Verna, un romanzo che fa della Storia una riflessione sul presente

Una rubrica sui libri. Perché? In questo nostro tempo veloce e senza pause, rallentare è l’unica azione possibile per riappropriarci della nostra anima. E lo facciamo con Gemma, docente e grande appassionata di libri di Corigliano-Rossano, che ci aiuta con le sue letture a sgretolare qualche luogo comune del mondo culturale, raccontando in poche parole, ogni domenica, che cosa meriti almeno un’occhiata in libreria. Non perdiamoci i suoi consigli!

“L’INIZIO È DOVE DECIDIAMO DI COLLOCARLO NOI”

Attratta dalle recensioni tutte positive, e per questo siano benedetti i social, ho concluso il 2024 leggendo al caminetto un libro uscito ad aprile, “I giorni di vetro” di Nicoletta Verna (Einaudi). Sarebbe stato un peccato perdere questa intensa storia nella Storia, in cui “non c’è nulla di vero, ma nemmeno nulla di falso”! Un romanzo avvincente, intriso di scenari crudi ma verosimili, perché ancorati alla verità storica e a una meticolosa analisi sociale che alimentano la riflessione sul nostro presente.

Non conoscevo la Verna, ignoravo il successo dell’esordio con “Il valore affettivo”, e l’ho scoperta con ammirazione. Ottimo il senso del ritmo, perfetto l’equilibrio tra il tempo della storia (dal 1924 alla Liberazione, con antecedenti e anticipazioni) e il tempo del racconto (434 pagine), assoluta la padronanza dei tempi, lunghi come quelli invernali in montagna e fulminei nelle azioni. Una penna che controlla magistralmente trama e personaggi, la cui eco risuona a lungo dopo aver riposto l’opera. Ma lo strumento sorprendente è il linguaggio, vivo nelle espressioni familiari e affettive e nei tanti proverbi (leggende e superstizioni) del dialetto romagnolo, tagliente come il vetro dinanzi alle violenze. Nessuna delle quali ci viene risparmiata. Le atrocità italiane in Abissinia, la dittatura del Ventennio, la guerra che “ha ammazzato tutti, anche i vivi”, la prevaricazione maschile.

Altra opzione vincente è stata sicuramente la doppia narrazione in prima persona, che scioglie i nodi della vicenda a poco a poco, quando gli stessi eventi che ci ha descritto Redenta sono rivissuti attraverso gli occhi di Iris. Due giovani protagoniste che esercitano la Resistenza in modi diversi ma poi convergenti. «La vita vale più di un’idea». «Dipende da quale vita e da quale idea».

Redenta è una figura letteraria indelebile. «Avrei voluto dirgli che non ero muta: stavo zitta. Tutti non facevano che parlare, e nel farlo litigavano, si offendevano e si maledicevano. A me sembrava che più parlavano e meno si capivano. Per questo stavo zitta».

Nasce a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti, non studia, in paese si mormora che abbia la scarogna, è taciturna tanto da essere considerata “scimunita”, perde all’apparenza l’onore ma non la gentilezza, rischia di morire spesso. Sopravvive alla poliomielite pur rimanendo “sciancata” e poi al saturnismo, ha una “gamba matta” ma arriva dappertutto. «E d’un tratto iniziai a piangere, ed era una cosa nuova, perché nella mia vita io non avevo pianto mai e mi faceva specie che il dolore spaccava così il suo guscio e colava fuori, dove potevano vederlo tutti».

Aspetta l’amico d’infanzia, Bruno, uno dei “bastardi” allevati dalla nonna Fafina, ma, per un credito di sangue del padre, fannullone e camerata, viene data in moglie a un ras, un orco, un boia, Vetro. Una bestia capace di un sadismo raccapricciante, che s’illude di poter fare di lei ciò che vuole sino alla fine. Redenta è, sì, vulnerabile, ma affronta questa ferocia. «Decidi di morire come ti pare, ma non per mano sua».

Salva gli altri, più volte, prima di sé stessa. «Era la notte che dovevo morirmi e invece avevo in faccia l’alba più bella che si poteva credere. La vita era strana, si rovesciava in modi impossibili». Redenta è una creatura contigua: accompagnata dalle apparizioni dei fratelli defunti, supportata dal guaritore Zambutèn e perseguitata su più fronti, si destreggia sul confine che separa i vivi dai morti.

Iris, come l’opera di Mascagni, nasce a Tavolicci, è dotta e bellissima, cresce tra i banchi della scuola che sua madre ha tirato su arrivando un giorno da lontano, con un carretto pieno di libri, incinta di lei e senza un marito. «È questa la reminiscenza più vivida che ho di mia madre: l’ostinata, ferrea soddisfazione che trova nell’obbligare le persona a essere migliori». Iris diventa come una mamma per il fratello Paolo, ma poi parte per andare a lavorare dai marchesi a Forlì; qui trova una biblioteca di volumi politici e Diaz, il leader partigiano ricercato dal battaglione M. Qui, soprattutto, abbraccia la Causa. Negli anni dei soprusi delle camicie nere, è in prima linea fino a quando, privata di tutti i parenti, decide di sfidare il lupo nella sua tana. «No che non ti ammazza. Purtroppo resti viva. E domani ti ricorderai di questa pena e ti sembrerà che non sia mai finita. Perché il male che patisci una volta lo patisci per sempre».

Diversi i personaggi secondari ben delineati (la nonna il padre le sorelle e la madre di Redenta, Bruno, la madre di Iris, Diaz, Vetro, i marchesi, i Verità). «La vita per Diaz non conta: conta solo la giustizia, che riguarda molte vite, oltre la sua o le nostre». L’assurdo paradosso di chi combatte per un’idea di futuro, senza considerare il proprio.

I luoghi, delle radici e della Storia, sono la Forlì “città di Mussolini”, la Tavolicci dell’eccidio impunito del 22 luglio 1944, la Castrocaro nel cui Grand Hotel si riuniscono i gerarchi nel ’43 per concepire la Repubblica di Salò, le montagne dei Partigiani, un casino, le terme, residenze più o meno misere e un Campanone da cui, prima della guerra, si poteva scorgere il mondo.

Le vittime si contano una a una, in un climax crescente e non privo di colpi di scena, ma l’autrice, tra le righe tragiche e le cause non tutte perse, sparge fiducia nell’umanità. «Siamo noi al centro di ogni cosa, e dobbiamo decidere come agire».

Auguro a tutti un sereno 2025, ricco di letture “azzeccate” e coraggiose disposizioni.

Gemma

Gemma Guido LIBRO

Che Gemma di libro! ~ di domenica su I&C

Gemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli.
Dopo qualche anno nelle scuole del Cuneese, ora insegna Lettere al Liceo artistico di Ciampino. In precedenza è stata corrispondente de “Il Quotidiano della Calabria”, editor e correttrice di bozze. Le piace mangiare (anche se non si direbbe!), andare al cinema, viaggiare e camminare. Crede che i suoi genitori l’abbiano ormai perdonata per aver trasformato la loro casa in una biblioteca. E che l’ironia, i cani e la poesia salveranno il mondo. Oltre alla lettura, naturalmente!

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