Che Gemma di libro! La disobbidiente, la vita della pittrice Artemisia Gentileschi

Una rubrica sui libri. Perché? In questo nostro tempo veloce e senza pause, rallentare è l’unica azione possibile per riappropriarci della nostra anima. E lo facciamo con Gemma, docente e grande appassionata di libri di Corigliano-Rossano, che ci aiuta con le sue letture a sgretolare qualche luogo comune del mondo culturale, raccontando in poche parole, ogni domenica, che cosa meriti almeno un’occhiata in libreria. Non perdiamoci i suoi consigli!

I QUADRI DELLA RIVALSA IMPERITURA

“Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” (auspico che, più prima che poi, quest’espressione scompaia dalla memoria collettiva), ma dietro una grande donna chi c’è? A volte nessuno, a volte diverse persone, spesso quelle sbagliate. Come in questa storia, tragica ma esemplare, che mi accingo a raccontare, dopo essermi documentata su Youtube (contenuti di Lucarelli, Cazzullo, Di Sivo) e aver terminato l’ennesimo romanzo sulla protagonista: “La disobbediente” (Libreria Pienogiorno, agosto 2024) di Elizabeth Fremantle.

Sono circa le 4 del pomeriggio del 6 maggio 1611, a Roma piove e in una delle camere da letto di un’abitazione in via della Croce c’è una donna con un coltello in mano; ha il vestito strappato e insanguinato, il volto tirato e le lacrime che le rigano le guance. Punta la lama contro il pittore Agostino Tassi perché l’ha appena deflorata. È Artemisia Gentileschi, ha 17 anni ed è la prima donna a firmare le sue tele, per cui anche lei è una “pittora” o “pittoressa”.

Un anno dopo, il 14 maggio 1612, davanti alla corte in Tribunale, Artemisia ha le mani legate e i tassilli avvolti intorno alle dita. Quando le cordicelle vengono tirate, il dolore è atroce, le dita quasi si spezzano (non rompendosi, fortunatamente per noi!) ma la ragazza non sviene, non si piega. Conferma, guardando in faccia il suo stupratore, quanto da lei fino ad allora testimoniato, mostrando l’anello-patacca che lui le aveva regalato quando le aveva promesso di sposarla. Il processo per stuprum, il primo ampiamente documentato della Storia (tutti gli atti sono conservati nel fondo del “Tribunale criminale del Governatore, Processi del XVII secolo” dell’Archivio di Stato), prevedeva la tortura dei Sibilli per la vittima, che doveva dimostrare di essere attendibile. Non per il carnefice.

La violenza intima in Italia, fino al 1996, è stata ritenuta un oltraggio alla morale, non un reato contro la persona, un “rapporto sessuale forzato con una donna vergine fuori dal matrimonio”, al quale si poteva porre rimedio con le nozze. Abbiamo dovuto attendere il coraggio di Franca Viola perché questo assurdo istituto del matrimonio riparatore, previsto dal nostro Codice penale, fosse abolito nel 1981.

Il 27 novembre 1612 Tassi è condannato per aver infangato la reputazione di Artemisia e di suo padre e aver corrotto i testimoni; il giudice gli impone di scegliere tra cinque anni di lavori forzati o l’esilio da Roma. Opta per l’esilio, ma non lascerà mai la città eterna, resterà impunito grazie alle amicizie influenti, ad andarsene sarà Artemisia. Le sue affermazioni sono ritenute veritiere perché ribadite sotto tortura, ma il procedimento, pur avendo due ostetriche frugato a lungo dentro di lei, non ha potuto attestare la sua verginità prima dell’assalto di Tassi.

Artemisia Gentileschi nasce nel 1593, è la più grande e l’unica femmina dei quattro figli del pittore Orazio Lomi (che prende il cognome della madre come, secoli dopo, farà Picasso) e di Prudenzia Montoni. Ha capelli disordinati e rosso Tiziano, un sorriso sbilenco e il corpo magro e spigoloso. Sua madre muore di parto quando lei ha 12 anni, lasciando il marito annichilito e lei a gestire la truppa. Non può studiare e affermare un apropria personalità, è rinchiusa in casa, esce solo all’alba con la chaperon, la vicina di casa Tuzia, alla quale col tempo si affeziona. Pulsa di vita e di arte, “è abile col pennello come il giovane Bernini con lo scalpello se solo le fosse permesso di darne prova”. Non le rimane che perfezionarsi nella pittura, osservando il padre e recandosi nella cappella Cerasi in cui è sepolta la madre e può incantarsi dinanzi al san Paolo di Merisi. E a proposito di Michelangelo Merisi, sembra che Artemisia, a sei anni, l’11 settembre 1599 a Castel Sant’Angelo, assista alla decapitazione della parricida Beatrice Cenci (molestata violata perseguitata e rinchiusa dal conte Francesco Cenci) proprio sulle spalle del ventottenne Caravaggio.

Roma, all’inizio del Seicento, è il centro culturale, come lo era stata Atene nel V secolo a.C. e lo sarà Parigi durante la Belle Époque, il luogo in cui bisogna trovarsi per fare la Storia e la Storia dell’arte. Il teatro barocco con scene sfarzose e retroscena oscuri, dove l’arte è chiamata a rappresentare il trionfo della religione nei cieli e la cruda realtà sulla terra. In via Margutta gli artisti, una volta deposti i pennelli, impugnano le armi e se le danno tra di loro (Caravaggio docet).

Orazio è bravo ma non ricco e fortunato, cambia tante case in cui arrangia anche le botteghe. Nel 1610 torna a Roma Agostino Tassi, maestro di illusioni e quadraturismo, arte di immortalare finte prospettive e sfondati architettonici. Orazio eccelle nel caratterizzare figure e personaggi. Insieme, quindi, lavorano per il cardinale Borghese, nel 1611, sulle impalcature del Quirinale. Artemisia prova a dire al padre che Tassi è ambiguo nei suoi confronti con piccole azioni quotidiane all’apparenza innocenti, una rete di sguardi intrighi e allusioni, ma Orazio non le crede e la affida all’amico, come l’aveva affidata a Tuzia, perché le dia delle lezioni di prospettiva.

Agostino Tassi, lo Smargiasso, è decisamente un figurino losco: implicato in diverse questioni giudiziarie, ad esempio per incesto con la cognata, si ipotizza che possa addirittura aver ucciso quella moglie che nascondeva. Cammina a braccetto col furiere Cosimo Quorli, formano un’affiatata coppia di criminali, che spesso si reca a casa Gentileschi quando Orazio non c’è. Come nel pomeriggio di maggio del 1611, quando Tuzia, pur implorata da Artemisia, la abbandona nelle fauci del lupo. Schivata la coltellata, Tassi assicura che la sposerà, ma ben presto si scopre che è già ammogliato. Orazio, a questo punto, con una lettera a Paolo V, denuncia Tassi, Quorli e Tuzia. Il 12 marzo 1612 Tassi viene arrestato e condotto prima a Corte Savella e poi a Tor di Nona; pure Tuzia finisce in manette e al processo sosterrà che ad Artemisia piaceva la compagnia del Tassi; Quorli nel frattempo rende l’anima a Dio.

A seguito del paradossale esito del processo, Orazio versa mille scudi di dote a Pierantonio Stiattesi, che sposa Artemisia e la porta a Firenze. Lasciano Roma il 13 dicembre 1612. Artemisia non ama il marito, ma può voltare le spalle a Tassi, al padre e a Tuzia. Nel luglio 1616, ventenne, è la prima donna al mondo ad essere accettata all’Accademia delle Arti e dei Disegni. Impara a leggere e scrivere, frequenta intellettuali come Galileo Galilei, non riceve commissioni pubbliche ma quelle private sono di tutto rispetto. Collabora con Buonarroti il Giovane per rendere la dimora di famiglia un tempio in ricordo dell’antenato. Nutre un amore passionale per Francesco Maria Maringhi. Dal marito, poi dileguatosi, ha quattro figli, sopravvive solo la piccola Prudenzia. Artemisia torna con lei a Roma e poi si recano a Genova, Venezia, di nuovo a Roma e infine a Napoli, dove l’artista allestisce una bottega che sarà punto di riferimento del caravaggismo in Occidente. A un padre anziano e a un re inglese, Carlo I, non può dire di no e così, nel 1638, si reca a Londra, ma l’esperienza non la entusiasma e, due anni dopo, rientra.

Ora è affermata indipendente e sola, alle sue spalle nessuno si intravede, neanche le persone sbagliate. Muore a Napoli nel 1653 o di peste nel 1656.

Lascia tavole dalla forza espressiva inarrivabile, in cui le donne, soggetti preferiti, sono più eroine che sante: Cleopatra nuda in punto di morte, Danae languida che giace sul letto con Zeus mutato in pioggia d’oro per possederla, Dalila che taglia i capelli a Sansone addormentato, Salomè che guarda quasi compiaciuta la testa di Giovanni Battista su un piatto d’argento, Giaele che conficca un chiodo nella testa del generale Sisara. E il precoce “Susanna e i vecchioni” (1610), indizio di come la giovane avesse già colto la malvagità di certi uomini.

Dulcis in fundo, immaginiamoci al Museo nazionale di Capodimonte, dinanzi alla “Giuditta che decapita Oloferne”. Si potrebbe erroneamente attribuire a Caravaggio, è un classico, una rievocazione biblica: l’eroina ebrea, per salvare il suo popolo assediato dal generale assiro Oloferne, si fa accogliere con l’inganno e lo uccide mentre, ebbro, sta per sprofondare nel sonno. Ma questo quadro differisce, e pure molto, da quello di Merisi del 1610. Si è fatto da sé, cavalcando onde emotive, è l’unica vendetta che la Gentileschi può assicurarsi. Oloferne (Tassi) è disperato, Giuditta (Artemisia) è sicura, il sangue imbratta il materasso, i colori sono intensi, l’ancella Abra (Tuzia) tiene fermo il mostro. La pittrice ipotizza come sarebbe andata se avesse trionfato la solidarietà femminile in cui credeva.

L’opera della Fremantle è in parte romanzata e calcata in alcuni frangenti (l’alcolismo di Orazio, la sua invidia per il talento innato e innegabile della figlia, l’amicizia tra Artemisia e Pierantonio) e non è la migliore monografia sulla Gentileschi, ma gli eventi più importanti sono basati su fonti storiche e ha una focalizzazione “privilegiata”: anche l’autrice ha subito un’animalesca violenza all’età di sedici anni e questo le ha certamente consentito di interpretare e descrivere le sensazioni senza i filtri di chi “’ntender no la po’ chi no la prova”.

Gemma

N.B.: Chiedo scusa per essere scomparsa all’improvviso, quando per tutti era finalmente arrivato il periodo estivo da dedicare alle letture, io ho sentito di dovermi riposare dopo la “scorpacciata” dei mesi precedenti. Sto riprendendo gradualmente e condividerò le mie impressioni librarie ogni volta che potrò.

Gemma Guido LIBRO

Che Gemma di libro! ~ ogni domenica su I&C

Gemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli.
Dopo qualche anno nelle scuole del Cuneese, ora insegna Lettere al Liceo artistico di Ciampino. In precedenza è stata corrispondente de “Il Quotidiano della Calabria”, editor e correttrice di bozze. Le piace mangiare (anche se non si direbbe!), andare al cinema, viaggiare e camminare. Crede che i suoi genitori l’abbiano ormai perdonata per aver trasformato la loro casa in una biblioteca. E che l’ironia, i cani e la poesia salveranno il mondo. Oltre alla lettura, naturalmente!

Una risposta

  1. La pausa estiva è servita a recuperare le letture da te proposte e da me tralasciate per mancanza di tempo … invitanti ed efficaci le recensioni … grazie

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