Che Gemma di libro! Questa domenica con Eraldo Affinati il giro del globo in 300 pagine

Una rubrica sui libri. Perché? In questo nostro tempo veloce e senza pause, rallentare è l’unica azione possibile per riappropriarci della nostra anima. E lo facciamo con Gemma, docente e grande appassionata di libri di Corigliano-Rossano, che ci aiuta con le sue letture a sgretolare qualche luogo comune del mondo culturale, raccontando in poche parole, ogni domenica, che cosa meriti almeno un’occhiata in libreria. Non perdiamoci i suoi consigli!

IL GIRO DEL GLOBO IN 300 PAGINE

Questa domenica, vi vedo già a roteare il mappamondo, punteremo il dito trecento volte! Tante sono le destinazioni proposte da Eraldo Affinati nella sua ultima opera, uscita in settimana per Feltrinelli, “Le città del mondo”. Se alcune non le trovate, non vi accanite, bisognerà usare l’immaginazione e non la vista. Il testo, infatti, si divide in tre grandi sezioni, che contengono rispettivamente luoghi conosciuti, sognati e inventati.

Come ha raccontato l’autore venerdì scorso, al Salone del Libro di Torino, i ritratti in 1300 battute, più che descrizioni paesaggistiche, sono appunti di viaggio (in parte già pubblicati su “Avvenire”) scaturiti da relazioni umane. Per molte delle città si è ispirato alla sua attività di pedagogo e ai ragazzi immigrati a cui insegna gratuitamente italiano da 16 anni (nella scuola Penny Wirton fondata con la moglie Anna Luce Lenzi).

In queste narrazioni c’è tanto di sé: il padre non riconosciuto e abbandonato, la madre fuggita da un treno diretto al lager, il nonno fucilato dai nazisti, l’incontro con la moglie, gli aneddoti scolastici, la passione per la letteratura don Milani e papa Francesco, quest’ultimo il più nominato in assoluto. Eh sì, Affinati non è certamente un turista ma neanche un viaggiatore, è un pellegrino; ha sintetizzato bene Ferroni, quello dei manuali di Storia della letteratura (“quello” con cui volevo laurearmi ma era entrato già nel periodo “non reperibile”): «Ho sempre pensato che Affinati scriva e legga in movimento. I suoi libri sono quelli di un pellegrino che nel toccare e guardare i luoghi ne percepisce la densità morale».

Il prologo ci accoglie a New York perché è la madre di tutte le metropoli moderne «oppure la figlia scapestrata di quelle antiche», sfregiata non solo dal terrorismo ma dalla consunzione interna. L’epilogo ci congeda a Gerusalemme, che racchiude tutte le città elencate, lo spazio magnetico, tra il Muro del pianto e la spianata delle moschee (lo sentite il canto del muezzin?), e spina nel fianco che, da millenni, pone all’uomo la stessa domanda: “Come si fa a vivere insieme?”.

Roma, città dello scrittore, compare in molti capitoli. All’inizio la «capitale si mostra beata e sorniona nel suo poetico frantume di ponti, campanili, alberi, cupole, acque e palazzi»; alla fine «è vera più del vero, ma fantastica al pari di una leggenda». Affinati ha spiegato di averla inserita anche tra le città inventate perché ci sono tante “Roma” a seconda delle persone che la vivono. Ogni giorno, lui la riscopre, la ritrova, la riconosce e si fa riconoscere; se si assenta, quando ritorna è come se la ritrovasse, come se avesse uno “straniamento percettivo” (teoria di Šklovskij).

A inaugurare la porzione dei siti visitati e nei quali si è “rimescolato” (Ungaretti) è Charkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina, in queste ore sottoposta a bombardamenti: «I pozzi sono avvelenati. I missili continuano a cadere in pieno centro urbano. Gli allarmi si susseguono. I posti di blocco si moltiplicano. Io vado con la mente a Mario Rigoni Stern, che qui trascorse uno dei momenti più significativi della sua vita, durante la ritirata degli alpini italiani dalla Russia».

Nelle mie intenzioni, a questo punto, doveva seguire l’inventario di tutte le città italiane e dei sei continenti analizzate, un po’ per incuriosirvi, un po’ per divulgare quella bistrattata materia che è la geografia e un po’ per per far della mia frustrazione mezzo gaudio (una sola vita e infiniti spazi non sperimentati; avevo cominciato a crocettare quelli in cui sono stata, poi ho rinunciato). Avrebbe, però, occupato un foglio intero e magari scoraggiato anche voi. Vi presento, quindi, gli esempi menzionati da Affinati e altri da me “sentiti” maggiormente.

A Colonia, mentre pensa al “Treno era in orario” di Böll, l’ex docente dei professionali di periferia e della Città dei Ragazzi viene chiamato per nome da Giovanni, in passato suo allievo; non lo riconosce senza brufoli, con i rasta e un piercing sotto il labbro. In Germania fa “er meccanico”: «Il romanesco ci stava bene in questa contrada fondata dall’Urbe imperitura».

A Marrakech, percorsa insieme agli studenti arabi, coglie una discrasia quando chiede di mangiare del cous cous tipico, ma i ragazzi preferiscono andare in pizzeria, sia perché si sentono italiani sia perché constatano come il Maghreb abbia venduto l’anima al mercato.

Nella stanza dei bottoni del pianeta si decidono le guerre, «elaborando il lutto per i morti che ne conseguono»; a Washington prolificano serial killer, drop out e barboni, «è la clinica dell’inconscio contemporaneo». Nella San Pietroburgo”artico-latina”, dopo l’Ermitage, la Prospettiva Nevskij, si gode l’intensa luce serale. A Tokyo è vittima dello “spaesamento”: vetro e cemento armato sono materiali moderni, ma usati con una mentalità lontana: «Qui scopri l’essenza funebre del consumismo importato. La cultura americana ha piantato la bandiera vittoriosa: questa è la profonda ferita inferta dalla Seconda guerra mondiale che Mishima intese tragicamente rappresentare nel suo spettacolare harakiri».

Le città sognate, «dove magari andrò in futuro oppure non mi recherò mai, lasciandole come effigi interiori», sono evocate attraverso la “reincarnazione” in schiavo (Babilonia), bandiera (Giacarta), Dino Campana (Montevideo), uccello (Bogotà), boomslang (Gaborone), noce di cocco (Honolulu), erbetta (Tripoli), ventriloquo delle tre Flame Towers (Baku), esploratore (Antartide), vagabondo (Karachi), piccione (Caracas), donna (Kuwait City), bambina (Managua), Cristo Redentore (Rio de Janeiro), gatto selvatico (Vorkuta), islandese leopardinao (Reykjavík), cane da slitta di John Thornton (Anchorage), alga marina (Bikini), R. L. Stevenson (Edimburgo), fanciullo guerriero (Sparta), filibustiere francese (Port-au-Prince), atleta sedicenne (Olimpia), formichina (Hong Kong). Di Halifax, prua canadese protesa verso l’oceano, città di scogliera e orizzonte, ne abbiamo tutti una, in balia del drammatico dilemma: «da un lato la sicurezza del focolare domestico, dall’altro il miraggio della libertà sconfinata».

Le città inventate, infine, «scaglie del mio inconscio / resti di esperienze /ancora grezze», hanno nomi bizzarri ma verosimiglianti, come le storie e le impronte che impregnano e tatuano i loro tessuti.

Questa sorta di guida “percepita” del pianeta è buona, perché accompagna interrogando e stimolando a ogni passo e stipa nello zaino riferimenti storici, letterari, filosofici, cinematografici, artistici e religiosi. Affinati è uomo di cultura, socialmente impegnato e scrive bene. Non posso e non voglio negarlo. Ma la mia sensibilità letteraria (psicanalitica) è diversa dalla sua (spirituale). A metà lettura, ho stimato “È proprio un Tolstoj” ed è risaputo che io prediliga Dostoevskij; poco più avanti, a pagina 175, Affinati palesa la sua ammirazione per Tolstoj (che ha partecipato alla difesa di Sebastopoli). Giunti a Vologda, però, concordiamo sul fatto che Solženicyn (premio Nobel) sia stato sopravvalutato e i “Racconti della Kolyma” di Salomov sminuiti.

Doveva, infine, e lo ha fatto con coraggio, confrontarsi con lo spirito di colui che, sin dal titolo, aleggia nel libro: «Non ho mai amato Italo Calvino / fra lui e Beppe Fenoglio ad esempio / per me non c’è gara […] ma se dovessi dire quale sia il libro di Calvino / che più di ogni altro sento distante / dovrei citare proprio “Le città invisibili” / opera in tanti sensi per me illeggibile». Suggella democraticamente il match, esortando al rispetto reciproco: «così voi se siete contenti e convinti / tenetevi pure i vostri baroni rampanti / le vostre giornate dello scrutatore / io dormirò sempre col Bren sotto il guanciale / nella cascina celeste fischiettando “Over the raibow” (“Una questione privata”, ndr)».

Gemma ed Elisa

Gemma Guido LIBRO

Che Gemma di libro! ~ ogni domenica su I&C

Gemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli.
Dopo qualche anno nelle scuole del Cuneese, ora insegna Lettere al Liceo artistico di Ciampino. In precedenza è stata corrispondente de “Il Quotidiano della Calabria”, editor e correttrice di bozze. Le piace mangiare (anche se non si direbbe!), andare al cinema, viaggiare e camminare. Crede che i suoi genitori l’abbiano ormai perdonata per aver trasformato la loro casa in una biblioteca. E che l’ironia, i cani e la poesia salveranno il mondo. Oltre alla lettura, naturalmente!

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