Com’era verde la mia Vale, racconto di Martino A. Rizzo

 

No, non si parla del film di John Ford tratto dal romanzo “Com’era verde la mia valle” di Richard Llewellyn del 1939, ma semplicemente di Vale, la zona di Rossano che tutti oggi conoscono col nome di “Traforo”.

Nel vecchio film americano si narra di una famiglia, solida e felice, che viveva in un tranquillo e verde villaggio gallese dove però piano piano si insinua la delusione per le miserevoli condizioni di vita, delusione che inizierà a portare nella piccola comunità lotte e lo sfaldamento degli antichi rapporti sociali e allo stesso tempo, per tanti, la strada dell’emigrazione verso mete lontane, portandosi dietro la nostalgia di scenari, persone ed eventi che erano stati protagonisti della vita in una vallata che da allora in poi non sarà più verde.

E anche Vale, il Traforo, ci fu un tempo in cui era verdissima come oggi non riusciremmo a immaginare ma che per fortuna antiche foto ci fanno intravedere.

Nell’antichità c’era l’abbazia basiliana di San Biagio di Vale che come ogni centro monastico aveva i suoi possedimenti sparsi per il territorio di Rossano. Inoltre, fatto importantissimo per la popolazione, lì c’era tanta acqua e quindi i mulini e una preziosa sorgente, la famosa “Acqua di Vale”, che forniva acqua a una parte della città che andava a prenderla passando dalla Porta dell’Acqua al Tirone che, secondo il Gradilone, “dava adito alle vicine sorgenti di acqua potabile”.

Basti pensare che percorrendo, oggi, la stradina che si snoda dopo la Porta dell’Acqua si arriva a qualche centinaio di metri dell’attuale sede INPS, quindi nei pressi di dove c’era la sorgente. Ovviamente il tutto va inquadrato in un’epoca in cui nelle case l’acqua potabile non c’era e che quella che attualmente è denominata “Porta Portello”, secondo alcuni storici, era solo una via d’accesso secondaria del castello del Ciglio della Torre e quindi non utilizzabile da tutti.

Pertanto, fino agli anni ’40 del secolo scorso, e cioè fino alla costruzione della Galleria del Traforo, in quella zona della città c’era solo verde, burroni e vallate. L’attuale strada per la montagna non esisteva e al suo posto vi era un sentiero che, partendo da dove oggi c’è la chiesa di San Bartolomeo, portava in alto verso Cozzo Pirillo e sulle circostanti colline laterali di Cozzo di Gatto, Trentademoni, Pirignognila e altre.

Sempre nel ’900, dove oggi c’è il Palazzo Quattro Stagioni, c’era il frantoio di Scarnati e tanti ancora ricordano don Giovanni Scarnati, “u terribile”, con stivali e mustacchi e che, quando ormai era vecchio, dei ragazzi impertinenti passandogli davanti sbattevano i piedi in segno di provocazione. Comunque ci fu un tempo in cui don Giovanni era considerato uomo tutto d’un pezzo, di rispetto, e un giovanotto che aveva rotto il fidanzamento con una sua sorella dovette allontanarsi di notte da Rossano per sfuggire a una possibile ritorsione.

In quest’oasi di verde che era Vale, i caprai, partendo da Rossano, portavano a pascolare le loro greggi attraversando all’alba e a sera il paese e passando per le strade annunciavano a voce alta “lattə ca passə” e così i clienti interessati uscivano di casa con i recipienti per acquistare latte freschissimo munto lì per lì.

Dopo che fu terminata la Galleria del Traforo, a Vale si iniziarono a costruire le case per l’edilizia popolare e il nuovo quartiere venne collegato al paese solo da una strada, una specie di budello, che si snodava su due dirupi laterali che pian piano vennero colmati utilizzando ogni tipo di materiale di scarto.

Una curiosità: questa stradina iniziò a essere molto frequentata dai giovanotti che andavano ad ammirare le tante belle ragazze che per una felice combinazione si trovarono ad abitare con le famiglie nel nuovo quartiere. All’epoca gli abitanti di queste prime case del Traforo, quando dovevano recarsi “in Centro”, usavano dire “andiamo a Rossano”, come se loro non fossero in paese. Comunque al Traforo, ancora fino agli anni ’60, c’era tanta natura. C’era “a muntagnedda e i campiceddi russi”, di terra rossa, elemento identitario di Rossano, dove i ragazzi rossanesi andavano a giocare immersi nella natura. Successivamente vi vennero impiantati gli edifici prefabbricati per la “Ragioneria”. E sempre lì vicino l’affluente del Citrea, che scorreva nella zona, creava delle piccole cascate e delle pozze dove i ragazzi andavano a catturare le rane che poi vendevano a “donn’Arturo e ru Spitali”, Arturo Guagliardi, che le utilizzava nel suo laboratorio per le analisi sulla gravidanza delle donne. Durante le calde sere d’agosto Vale, come il Cozzo, era la meta di passeggiate serali dei rossanesi in cerca di fresco.

Col passare del tempo però i dirupi vennero colmati e le montagne spianate, don Luigi Vittipaldi negli anni ’60 vi costruì il Cinema Traforo con l’Arena e di pari passo avanzò l’urbanizzazione, a ritmi sostenuti, offrendo abitazioni a quei rossanesi che ne erano in cerca e che non volevano trasferirsi allo Scalo. E il Traforo-Vale, insomma, non fu più verde.

Martino A. Rizzo

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

Una risposta

  1. Buona ricostruzione con qualche inesattezza e qualche omissione ma il pezzo è scritto bene e rende giustizia a quel Quartiere che poi si chiamava San Bartolomeo. Anche la Pigna andrebbe ricordata ma ripeto che il racconto, come direbbe il prof. Giovanni Sapia è dignitoso.

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