«La crisi amministrativa è una cosa, la fusione è altra. I due momenti non vanno confusi». La specifica arriva dall’ex parlamentare e attuale componente di FDI Giovanni Dima, fusionista di prima battuta, particolarmente preoccupato per l’andamento del percorso intrapreso sul progetto che ha e deve avere «una rilevanza storica per la città. Aspetto, questo, non ancora compreso», sottolinea l’uomo dell’ex Alleanza nazionale. «Aver messo insieme due realtà, spesso rivali in passato, è stato un risultato epocale e vederlo sfiorire pone al centro una serie di riflessioni di carattere politico-culturale necessariamente da affrontare con buonsenso e responsabilità». Sulla crisi in atto e sullo scontro politico tra il sindaco Flavio Stasi e i componenti di Corigliano Rossano Domani, le cui parti si sono accusate reciprocamente di condotte antifusioniste, Dima coglie leggerezza nei confronti dell’importante momento storico: «Non è stato colto fino in fondo che le due realtà, con le proprie rispettive specificità, andavano armonizzate gradualmente con provvedimenti di carattere amministrativo».
L’uso distorto della politica del bilancino
Presi dalle tante emergenze quotidiane
È pur vero che le problematiche ereditate dal Governo Stasi sono tante, molte delle quali di carattere emergenziale. E non solo di pandemia si parla, perché la nuova città si porta dietro le storiche criticità, dalla mancanza d’acqua al problema rifiuti, dalla depurazione alle fatiscenti reti fognarie. In questa cornice, diventa difficile governare il processo di fusione nell’ambito di una visione culturale che affronta le cose da “separati in casa”. «Ci sono problemi che riguardano la quotidianità che vanno risolti con determinazione, continua Dima, capisco che l’urgenza è l’aspetto che più assorbe l’attività amministrativa, ma alla capacità di intervenire sulle e per le necessità va accompagnato l’impegno a far capire alle due comunità che la fusione è un progetto di straordinaria rilevanza, che va guardata a medio e lungo termine e con lungimiranza». Un ultimo punto riguarda l’approccio vittimistico delle due comunità verso gli interventi amministrativi. Anche qui si rinvengono limiti da colmare: «Esistono rivendicazioni di una certa coriglianesità: comprendo le difficoltà di un sindaco a governarle, che vuole dimostrare che non agisce con disparità. Ma molti problemi si possono risolvere già solo con un minimo di saggezza. Il futuro guarda all’armonizzazione delle due ex città, bisogna dire alla comunità che si va in questa direzione, cercando di risolvere le carenze del territorio a partire dal loro livello di gravità e urgenza. Probabilmente l’area urbana di Corigliano ha maggiori criticità infrastrutturali, ma è un tema che va affrontato a viso aperto e non certo dentro una logica localistica».
La città come capoluogo politico-culturale, ancora non ci siamo
E infine il ruolo che la nuova città deve rivestire nel contesto comprensoriale: «Deve diventare una sorta di capoluogo politico-culturale di un intero territorio e questo manca nella discussione. Al momento non registro elementi positivi da parte dei comuni confinanti su questo versante. Né si rinviene una politica di affiancamento rispetto alle problematiche d’area. Su questo, registro una grave carenza. C’è da fare un lungo percorso in questa direzione, che richiede quell’esperienza politica che, oggi, mi sembra di capire, non c’è».