“E bbonì, e bbonà”, racconto di Martino A. Rizzo

Corigliano Rossano – Iniziava così la filastrocca che i ragazzi recitavano la sera del 31 dicembre girando per i vicoli rossanesi e fermandosi davanti ai portoni delle case, mentre tra le braccia reggevano un sasso. Le pietre poiché servono per edificare erano considerate un dono beneaugurale come simbolo della realizzare di costruzioni, qualsiasi costruzione. Venivano perciò lasciate davanti alle case visitate come auspicio per un nuovo anno durante il quale la famiglia avrebbe prosperato.


Dopo aver scampanellato, i monelli festosi, una volta aperta la porta, cantata l’introduzione di “E bbonì, E bbonà” davanti ai padroni di casa, continuavano con altre strofe che iniziavano e si concludevano con “Fammi a strina / Ch’è capuddà”, insomma fammi la strenna perché è festa, è Capodanno. Poi aggiungevano una serie di auguri ed elogi: “Quanti rava / Sta petra ri chiummi / Tant’oru / Ti vo ttrasiru / U jurnu”, che stava a significare che per quanto la pietra fosse pesante come il piombo, altrettanto oro ogni giorno sarebbe dovuto entrare in quella casa. Insomma un augurio di peso che proseguiva con gli elogi ai figli dei padroni di casa che si voleva diventassero regine e avvocati: “Mmenza a casa / C’è na forcina (o tappina) / Vosstra figghja / È na reggina. Mmenza a casa / C’è nu catu / Vosstru figgjju / È n’avucatu”.

Era un mondo diverso quello che vedeva queste scene, un mondo che si caratterizzava per una povertà dignitosa che non si nascondeva, un mondo dove la televisione o non c’era o era appena entrata soltanto nelle case di pochi, un mondo dove regnava uno spirito e una fantasia sempre pronti a colmare i tanti vuoti provocati dalle ristrettezze.
Dopo aver ricevuto tutti questi auguri, per i padroni di casa diventava giocoforza disobbligarsi con i ragazzi di “e bbonì e bbonà” e quindi regalavano loro arance, mandarini, tanta frutta secca e quant’altro fosse a portata di mano. E siccome nella serata i gruppi di ragazzi si susseguivano uno dietro l’altro, dinanzi a certe porte talvolta si creava “nu munzeddu” (un mucchio) di pietre di varie misure e certe padrone di casa ne conservavano alcune come testimonianza di buon auspicio. I ragazzi con le pietre, in particolar modo i primi che arrivavano, talvolta non venivano tenuti sull’uscio di casa, ma condotti davanti al presepe, dove deponevano i sassi.

Considerata la buona accoglienza che avevano ricevuto, il “coro” dei giovani proseguiva nella recita beneaugurale: “Quanti pinni / Tena a gaddina / Tanti tummini / E farina. / Quanti pinni / Tena ru gaddu / Tanti tummini / E curaddi”.
Per tanti di questi ragazzi la sera di capodanno era provvidenziale. Molti, prima di iniziare a girare, si fornivano di un sacchetto in cui mettere quanto ricevevano e al rientro ne uscivano arance, mandarini, fichi, castagne, pigne, noci e anche qualche torroncino. Così i giovani erano soddisfatti per essere riusciti a portare a casa una buona “strina” e ugualmente soddisfatti restavano i loro familiari per questa regalia conquistata dai figli.
Non sempre però i ragazzi erano bene accolti da tutti. Ciò si verificava presso le famiglie che erano state colpite da un lutto o da parte di quelle che, per motivi vari, avevano altri diavoli per la testa e non gradivano questo clamore. Perciò la porta di casa non veniva neppure aperta oppure se si apriva era solo per scacciarli, “secutari”. Ma i ragazzi, inconsapevoli dei guai che quella famiglia potesse avere, non si davano per vinti e al primo accenno del non gradimento della “recita” beneaugurale, ne facevano seguire ad alta voce un’altra di tenore opposto: “Quanti pisci / Ci sunu ntru mari / Tanti figghj fimmini / Vo fari”, (per quanti pesci sono nel mare tante figlie femmine devi fare). Oppure: “Quanti pili / tene a gatta / Tanti canchiri / Chi ti vatta” (che tu possa avere tanti cancri quanti sono i peli del gatto). E ancora: “Mmenza a casa / C’é na cistedda / Vosstra figghja / È na porcedda” che stava per “in mezzo alla casa c’è una cesta, vostra figlia è una porcella”. Sono immaginabili le reazioni di coloro che ricevevano questi cattivi presagi che costringevano i monelli a darsela a gambe.

Insomma la sera del 31 dicembre vicoli, rioni e abitazioni venivano inondati dai ritmi e dalle atmosfere da piccolo mondo antico creati da queste festose comitive di ragazzi che portavano in giro per le case la loro spensieratezza e la voglia di allegria, rendendo viva una comunità.

TESTO COMPLETO DELLA CANTILENA

parte positiva: E bbonì / E bbonà / Fammi a strina / Ch’é capuddà. / Quanti rava / Sta petra ri chiummi / Tant’oro / ti vo  trasiru / U jurnu. / Mmenza a casa / C’é na furcina (o tappina) / Vosstra figghja / È na reggina. / Mmenza a casa / C’è nu catu / Vosstru figghju / È n’avucatu. / Quanti pinni / Tena a gaddina / Tanti tummini / E farina. / Quanti pinni / Tena ru gaddu / Tanti tummini / E curaddi.

parte negativa: Quanti pili / tene a gatta / Tanti canchiri / Ca ti vatta  / Quanti pisci / Ci sunu ntru mari / Tanti figghj fimmini / Vo fari. oppure: Mmenza a casa / C’è nu piattu / Tanti canchiri / Chi ti vatta. / Mmenza a casa / C’é na cistedda / Vosstra figghja / È na porcedda.

Martino A. Rizzo

 

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

Una risposta

  1. Filastrocca scritta da autore rossanese sconosciuto e riportata ne volume del poeta Giuseppe D’Abruzzo.

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