Quando ho cominciato a fare l’insegnante, una ventina d’anni fa, gli episodi di bullismo tra i ragazzi erano rarissimi ed era impensabile che,addirittura, ad essere “bullizzato” potesse essere un insegnante. Oggi non è più così: la scuola si è trasformata in un luogo di violenza latente o manifesta, in cui gli studenti infieriscono sui compagni più fragili e si permettono di farlo persino con coloro che dovrebbero educarli,spalleggiati in molti casi anche dai genitori, come le vicende degli ultimi giorni testimoniano. E’ evidente che non si tratta di un problema circoscrivibile soltanto all’ambiente scolastico,che è lo specchio del contesto sociale in cui viviamo, un contesto in cui non ci sono più punti di riferimento credibili e in cui le famiglie hanno abdicato alla loro funzione pedagogica, delegandola ad una scuola impreparata ad affrontare quelle che sono delle vere e proprie emergenze. E come in tutte le situazioni emergenziali, anche in questo caso, si propongono soluzioni avventate e spesso incoerenti, certamente non risolutive. Si è passati dall’ammirazione nei confronti della professoressa sfregiata nel casertano,che ha perdonato lo studente aggressore,ricevendo onorificenze dalle più alte cariche dello Stato, alla comminazione di punizioni “simboliche”, a mio parere ridicole, come quella di svuotare i cestini o pulire i banchi, nell’illusoria speranza di una presa di coscienza da parte degli studenti colpevoli, fino alla richiesta di sospensioni e bocciature da parte del Dirigente Scolastico di un Istituto di Lucca, avallato dalla ministra Fedeli. È evidente che non siamo preparati a fronteggiare questo fenomeno destinato ad ingigantirsi, alimentato dall’emulazione che il circo mediatico comporta. Psicologi, pedagogisti,opinionisti negli ultimi giorni hanno detto la loro. Alcuni invocano rigore e disciplina, altri si appellano alla missione inclusiva della scuola che non può reagire,parafrasando don Milani, come un ospedale che respinge i “malati” e cura “i sani”, altri ancora ritengono che questi comportamenti delinquenziali caratterizzino soltanto le classi sociali meno abbienti, lettura assolutamente distorta del fenomeno che è, purtroppo, trasversale a tutte le classi sociali. Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi e occorre un ripensamento generale del ruolo della scuola nella società odierna, a partire dall’importanza del ruolo dell’insegnante, ridotto spesso ad un badante, se non addirittura ad un semplice guardiano di classi-pollaio. Credo,soprattutto, che il rispetto di studenti e genitori non possa essere preteso “a prescindere”,come accadeva un tempo; oggi il rispetto, purtroppo o per fortuna, va conquistato e meritato, svolgendo questa professione con serietà, credibilità, coerenza, preparazione,autorevolezza e passione. Non ci si può improvvisare insegnanti e, nonostante i corsi e le certificazioni (che il più delle volte equivalgono a carta straccia), non si può, e sono consapevole del peso della mia affermazione, imparare a diventare insegnanti, così come non si possono imparare doti, o forse“doni” come la curiosità, l’empatia, il carisma,l’amore per l’altro. La nostra è non è una professione qualunque,probabilmente non esiste neanche un compenso economico che possa essere proporzionale alla fatica che essacomporta. Ma è altrettanto vero che non esiste gratificazione maggiore del contribuire, anche in minima parte, alla crescita e alla formazione di un individuo. Chi non se la sente, si faccia da parte; chi se la sente, sappia di intraprendere un cammino irto di ostacoli, di cadute, di ripensamenti, di sfide continue, davanti alle quali anche i “bulli”impareranno,ne sono convinta, a fare un passo indietro.
Anna Di Vico De Simone
Insegnante di Lettere presso il Liceo Classico “G. Colosimo” di Corigliano Calabro