Hanno fatto rumore le recenti esternazioni rese dal Procuratore Capo del Tribunale di Castrovillari Eugenio Facciolla contenute in un articolo di Luigi Cristaldi (Gazzetta del Sud) pubblicato nei giorni scorsi. In questo editoriale non mi soffermerò sulla opportunità o meno, in un momento politico particolare che potrebbe vedere la riapertura del tribunale di Corigliano Rossano, di determinate affermazioni rilasciate a pochi giorni dalla pubblicazione del contratto M5S – Lega Salvini circa la revisione delle circoscrizioni, né voglio prestarmi a forme di dietrologia o altro. Vado però al nocciolo della questione: vi erano lobby di potere, comitati di affari, connivenze, all’interno degli ambienti del tribunale di Rossano? Si, no, ad ognuno di noi l’onere secondo coscienza, in assenza di un’inchiesta giudiziaria, di stabilire le proprie verità. Su un dato, tuttavia, non si transige: chi è chiamato a fare giustizia? La risposta è abbastanza scontata: i magistrati. In questo colgo un limite nelle dichiarazioni attribuite al Procuratore Facciolla. Egli, infatti, chiama in causa i soli avvocati che si aggiravano per le cancellerie in una sorta di totale anarchia, ma nulla dice sui magistrati che pure erano in organico presso l’ex tribunale di Rossano e vi prestavano regolarmente servizio. Possibile che nessuno si sia mai accorto di nulla? E allora se lobby di potere vi era, tale fenomenologia non può né deve escludere da responsabilità chi era chiamato a combatterla.
A differenza di altri, credo che bene abbia fatto il Procuratore Facciolla, da autorevole libera mente pensante ad esercitare il sacrosanto diritto di critica su punti importanti della vita pubblica. Ebbi modo di intervistarlo qualche tempo fa su una serie di questioni su cui mi sono ampiamente ritrovato per contenuti espressi e per apprezzabile coraggio. In tempi in cui ognuno ha paura della propria ombra trovare persone che parlano per come pensano è cosa rara. Anche se, credo, la questione delle presunte lobby di potere poteva essere trattata magari successivamente alla eventuale riapertura, se non altro per fugare ogni dubbio o sospetto. E sul “caso Facciolla” chiudo qui.
La viltà di chi critica la gestione dell’ex tribunale di Rossano solo dopo la chiusura
C’è tuttavia un aspetto che trovo e sento intollerabile. Rendo pubblico ciò che accadde oltre 15 anni or sono quando lavoravo come redattore presso la Provincia Cosentina. In quegli anni, anche se ogni tanto usciva fuori una certa proposta Palombarini (prevedeva la chiusura del presidio) il tribunale di Rossano era in pompa magna, nessuno poteva immaginare quanto poi sarebbe accaduto. Ebbene, allora ebbi modo di affrontare la questione dei magistrati, del Consiglio superiore della magistratura, del ministero della giustizia, evidenziando come il presidio di Rossano fosse vissuto come una sede di passaggio per magistrati che, giusto il tempo di farsi le ossa e conoscere i meccanismi interni a un territorio che subito avanzavano legittimamente domanda di trasferimento, determinando di fatto, seppure involontariamente, un disagio in termini di qualità della giustizia per mancanza di continuità. Ponevo inoltre altre questioni circa rapporti di convivialità su cui mi soffermai per un fatto di opportunità, non perché i magistrati debbano essere sottoposti a vita blindata (né lo penso né lo ritengo giusto) piuttosto per non generare dubbi e sospetti. La reazione, in parte condivisibile, non tardò ad arrivare mediante un diritto di replica. E fu firmata da tutti i giudici sia del tribunale sia della procura, eccezion fatta (per ragioni di garanzia) per l’allora presidente del tribunale e del procuratore capo che si astennero. Nulla di che, almeno per quanto mi riguarda, si trattava semplicemente di posizioni differenti. E la partita si chiuse li. Mi chiedo: ma allora dov’erano tutti quei giustizialisti da strapazzo che hanno trovato il coraggio di contestare l’amministrazione giudiziaria di Rossano solo dopo la sua chiusura? In questo ci vedo tanta viltà. Le battaglie, se giuste, si affrontano al momento, quando hai l’avversario di fronte, non quando dall’altra parte non vi è più nessuno. Solo i codardi assumono certi comportamenti.
Chiuso il Palazzo di giustizia, settori coriglianesi stapparono bottiglie di champagne
Oggi siamo in tempi di fusione e il dato referendario ha dimostrato come nella città di Corigliano vi sia una parte sana slegata da sciocchi e futili campanilismi su cui certa classe dirigente ha fatto leva per lunghi anni al fine di raccattare qualche misero voto. E tutto questo millantando fedeltà e attaccamento alla propria città, ma anche su questo ci sarebbe da ridire, se è vero come è vero che Corigliano ha sempre convissuto con situazioni disastrose provocate paradossalmente proprio da chi ritiene di amarla, altro che orgoglio coriglianese! E’ noto ai più che quando chiusero il tribunale di Rossano ci fu qualcuno (o più settori coriglianesi) che non perse occasione di stappare bottiglie di champagne a iosa per la felicità e per il risultato raggiunto. Qui il discorso si fa lungo, articolato e complesso. Per costoro il tribunale di Rossano era compromesso, corrotto, luogo di affaristi, quasi come se in altri tribunali della stessa provincia di Cosenza fosse tutto rose e fiori. Sul punto, per avere maggiori ragguagli non bisogna andare molto lontano, ma leggere qualche sito cosentino per accorgersi che forse Rossano era quello meno coinvolto da certi sistemi. E, però, per certa gente, solo a Rossano c’era il fango! Mi chiedo: ma questa mentalità è frutto di quale logica? A parte che se vi erano all’epoca magistrati discussi, gli stessi dopo la soppressione non sono stati mica licenziati ma te li ritrovi altrove. O no? E se proprio vogliamo aprire il capitolo delle illazioni, ma siamo proprio sicuri che il malaffare regnava solo a Rossano? E quella parte di imprenditoria coriglianese non aveva nessun rapporto con pezzi dell’amministrazione giudiziaria? Siamo proprio sicuri? O dobbiamo ricorrere a qualche fascicolo interno ad arcinote inchieste antimafia per meglio comprendere alcuni rapporti imprenditoriali?
Quando poi si parla di elargizione di incarichi e prebende, oggi si può pensare che sia cambiato qualcosa? Usciamo fuori quindi da certa ipocrisia e guardiamo la realtà in faccia, anteponendo le esigenze dei cittadini, quelli più disagiati, gravati da una scellerata e illegale decisione che è stata quella di chiudere un presidio di giustizia con 150 anni di storia alle spalle e su cui, ancora oggi, sul piano etico e morale nessuno ha dato risposta.
Matteo Lauria
Direttore Responsabile I&C