La fine dell’anno è arrivata, e come ogni volta, siamo pronti a fare il nostro bilancio: quello più semplice, composto da successi, traguardi raggiunti e riconoscimenti ricevuti. Tuttavia, ce n’è un altro, che raramente ci concediamo, il più importante. Un bilancio che non riguarda unicamente quello che abbiamo ottenuto, ma anche quanto abbiamo dato agli altri e lasciato al mondo.
Forse dovremmo chiederci quante volte abbiamo scelto la vita, quella vera, quindi di tutti, e non soltanto la nostra. Quante volte ci siamo girati dall’altra parte, voltando le spalle al dolore che ci circonda. Il mondo non partorisce da solo la sofferenza; a farlo sono le nostre scelte, quelle che ignorano il dolore degli altri.
Eppure, nel nostro bilancio, raramente vengono considerati i fallimenti. Non ammettiamo quasi mai i nostri errori con la stessa sincerità riservata ai successi. Ieri sera, nel nostro resoconto, non ha trovato posto la delusione che abbiamo provato verso noi stessi e gli altri. Non diremo mai quanto male abbiamo commesso, ma quanto ce n’è stato fatto. Non riconosceremo mai quello che abbiamo tolto, ma ciò che ci è stato sottratto.
La verità è che non ascoltiamo più le persone, nemmeno se gridano con gli occhi, con la bocca e con le mani. Guardiamo e non tocchiamo, tocchiamo e non guardiamo. Siamo troppo presi dall’autocelebrazione, dal presentarci come più forti, più puri, migliori. Ma se smettessimo di erigerci su un piedistallo, accettando con coraggio la nostra umanità, la nostra natura precaria, la maschera cadrebbe. Verrebbe meno la possibilità di considerarci superiori, di legittimare le nostre mancanze, le colpe. E non avremmo più modo di allontanarci dalla fragilità umana del prossimo, che è la nostra. Nei successi e nei fallimenti, nelle gioie e nei dolori, noi non siamo che l’altro. Atomi infinitesimali capaci di farsi comunque un gran male, sotto a un cielo che dimentichiamo.
Guardando al nuovo anno potremmo chiederci cosa possiamo dare, e non solo prendere, con l’augurio di poter dire: “C’è (anche) tanta bellezza nel mondo, e io vi ho contribuito.” Perché il bene e il male del mondo sono una scelta che esercitiamo ogni giorno, un atto di fede che ciascuno ripone nella vita.
Prima che si accendessero le luci e che le danze iniziassero, prima che tutto si riducesse al rumore delle bottiglie e degli auguri, ci siamo fermati un attimo a chiederci quale speranza guida questo nuovo anno? In che modo non perpetreremo gli errori del passato?
Il tempo dei bilanci, allora, dovrebbe essere un momento da soli con noi stessi. Un’ora in cui fare i conti con le nostre paure, con le omissioni, con i piccoli “delitti” che abbiamo commesso nel silenzio delle nostre coscienze, e che hanno ucciso ugualmente. Lontano da ogni vittimismo, lontano dalle giustificazioni, ma un sincero, dovuto e ormai in disuso esame di coscienza. Chi siamo, davvero, prima che tutti ci guardino?
Buon anno, ma soprattutto, buona scelta. Possano tutti gli esseri viventi essere liberi dal dolore, e dall’infliggerlo.
Virginia Diaco