La politica calabrese sembra spesso un teatro dell’assurdo, in cui comitati e commissioni vengono costituiti con il solo obiettivo di ottenere la riapertura del tribunale di Rossano (oggi Corigliano Rossano), senza mai affrontare i veri interrogativi che pendono su questa vicenda. Si preferisce continuare a insistere su uno slogan stanco, senza analizzare criticamente il contesto che ha portato alla chiusura di quel tribunale. E così, emerge quella fastidiosa ipocrisia che ferisce e calpesta l’intelligenza di chi conosce i fatti.
Nessuno ha mai risposto chiaramente a questi interrogativi, nemmeno il ministro attuale, che, sollecitato da una specifica interrogazione parlamentare del senatore Rapani, ha preferito dribblare le domande. E, per aggiungere al danno la beffa, dopo aver sostenuto che gli spazi del tribunale di Castrovillari fossero sovrabbondanti, ora lo stesso ministero intende finanziare un ampliamento di quegli stessi locali. Una contraddizione lampante, che sembra non disturbare nessuno sulle rive dello Jonio.
Nel frattempo, a Corigliano Rossano, si continua a costituire commissioni e comitati per la riapertura del tribunale, ripetendo come un mantra che “la terza città della Calabria” merita la propria sede giudiziaria. Ma davvero questo è il punto? È ben noto che il parametro demografico di riferimento è la circoscrizione, non il numero di abitanti di una singola città, soprattutto quando quella città non è un capoluogo.
Una classe dirigente autorevole avrebbe dovuto, già da tempo, interrogarsi sulle ragioni tecniche che portarono alla chiusura del tribunale di Rossano e non di altri, come Paola o lo stesso Castrovillari. Preciso, che in Calabria, nessun tribunale avrebbe dovuto essere soppresso, per le ragioni note a tutti. Quale fu la logica che guidò la chiusura di un solo tribunale in Calabria? Certamente non quella del risparmio, visto che le casse dello Stato non hanno tratto alcun giovamento dall’accorpamento. E allora, perché si continua a ignorare la verità, preferendo inscenare questo teatrino?
Fare politica comporta oneri e onori, e chi vuole rivestire ruoli istituzionali non può permettersi di chiudere gli occhi di fronte all’evidenza. L’ex senatore Enrico Buemi, oggi non più con noi, ebbe il coraggio di parlare di “carte false” in questa vicenda. Eppure, da noi, nessuno sembra voler affrontare questi nodi cruciali. Come possiamo definire questa cultura? Forse, il termine più appropriato è: omertà istituzionale.
In un contesto dove chi dovrebbe vigilare preferisce distogliere lo sguardo, la speranza di vedere risposte serie e coerenti sembra ormai un miraggio. Ma è arrivato il momento di mettere fine a questa farsa e pretendere chiarezza.
Matteo Lauria – Direttore I&C