Oggi non salutiamo soltanto un Papa, ma un uomo che ha cercato fino all’ultimo di indicare la strada in un tempo che ha smarrito la bussola. Il Santo Padre, spentosi in una stagione storica lacerata da guerre e disumanità, ha dedicato la sua intera esistenza a parlare di vita, a difenderla senza mezze misure, a proteggerla ovunque: nelle periferie, nei campi profughi, nei quartieri dimenticati del mondo. Mai si è piegato alle mode o ai compromessi. Sempre accanto agli ultimi, ai migranti, ai poveri, ai malati, a chi la società getta via con facilità. Ha lottato per dare voce a chi non l’aveva. Ha chiesto una moratoria universale contro la pena di morte, rimasto però inascoltato da troppi Paesi. Ha difeso la vita dal suo primo istante, ribadendo il valore di ogni essere umano anche quando il mondo voltava lo sguardo altrove.
Un vuoto che pesa
Mentre il feretro percorreva le vie di Roma per raggiungere Santa Maria Maggiore, dove ha voluto riposare tra i poveri e i senzatetto e senza i potenti della terra, la città intera sembrava fermarsi, come se il cuore pulsante della sua storia rallentasse per un istante. Durante il rito, il cardinale Giovanni Battista Re ha tracciato un cammino fatto di mani tese, di viaggi nei luoghi dove la guerra è di casa. Un impegno costante per costruire ponti e non barriere, per cucire ferite aperte da secoli di violenza. “Da soli non si va da nessuna parte”, amava ripetere il Santo Padre. Un monito semplice e chiaro, ma ignorato da un mondo sempre più chiuso, egoista e spinto dal denaro.
Senza anima
Il Santo Padre lascia un’eredità fatta di ideali che oggi sembrano quasi anacronistici. Difesa della vita, solidarietà, accoglienza, rispetto della dignità umana. Temi rimasti ai margini, sovrastati dal rumore assordante di un sistema economico che ha trasformato tutto in merce: anche l’uomo. Abbiamo anteposto il profitto a ogni altra considerazione, costruendo una società di automi, incapaci di guardarsi negli occhi. Il suo insegnamento resta lì, come un faro nella notte, ignorato da chi avrebbe il dovere di ascoltarlo: i governanti, i potenti, gli artefici dei destini collettivi.
Un’eredità da non tradire
Oggi perdiamo una figura che ha saputo parlare alle coscienze senza alzare la voce, che ha saputo chiedere pace, che ha scelto di camminare tra gli ultimi invece di sedersi nei palazzi del potere. Il mondo non può permettersi di seppellire anche il suo messaggio. È tempo di ritrovare l’anima perduta, di ridare valore a ogni vita, di rimettere al centro l’uomo e non il denaro. È questo il compito che ci lascia. È questo il dovere di chi oggi ha il coraggio di definirsi credente, ma soprattutto di chi si dice ancora, semplicemente, umano.
Matteo Lauria – Diretto I&C
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