Editoriale | Strade insidiose e guida rischiosa: quando le responsabilità si uniscono

Ancora una volta ci svegliamo con la notizia di un dramma consumato lungo la Statale 106. Non parleremo dell’incidente di questa notte — non ancora, almeno, perché la dinamica è sconosciuta — ma non possiamo tacere su ciò che questa strada rappresenta da troppo tempo: un teatro ricorrente di sangue, dolore e perdite. Le statistiche sono impietose: la 106 è una delle strade con la più alta percentuale di morti in Italia. È una verità amara, cruda, e purtroppo ormai “normalizzata”. Eppure, ogni vittima è una storia spezzata, una famiglia distrutta, un vuoto che non si colma. Da anni si discute: di chi è la colpa? Della strada, piena di insidie, con corsie strette, incroci pericolosi e manutenzione discutibile? O degli automobilisti, che spesso guidano in modo irresponsabile, violando limiti di velocità, non rispettando distanze, magari sotto l’effetto di alcol o droghe? La risposta è semplice, ma scomoda: entrambe le cose sono vere. Le responsabilità non si escludono, si sommano.

Se tutti rispettassero le regole — limiti di velocità, distanze di sicurezza, sobrietà alla guida — molti morti si eviterebbero. Ma altrettanto vero è che una strada come la Statale 106, che è l’unica vera arteria di collegamento jonica, non può restare così com’è. Non basta più il dibattito, servono scelte coraggiose e investimenti concreti. In questi anni, abbiamo riempito la 106 di rotatorie, nel tentativo di arginare il numero di incidenti. Ma il dramma di questa notte è avvenuto — ancora una volta — in un incrocio regolato da un semaforo datato. Proprio lì dove serviva, e serve ancora, una rotatoria. Chi decide le priorità? Chi valuta il rischio? Chi risponde delle scelte mancate? Il progetto della nuova arteria Roseto-Sibari-Corigliano Rossano è una buona notizia, ma non risolve tutto, soprattutto se l’investimento eslcuderà la tratta più pericolosa: Corigliano-Rossano-Crotone. L’incrocio di Sibari, e molti altri simili, resterà. E allora: resteranno anche i semafori obsoleti? Continueremo ad aggiornare il conto delle vittime senza imparare nulla?

C’è un ragionamento profondo da fare sull’educazione stradale. Viviamo in un contesto dove il brivido della velocità è visto da molti — giovani e non — come un’esperienza da vivere. Ma quel brivido, spesso, è la miccia di un’esplosione fatale. Le droghe, l’alcol, la superficialità alla guida, sono solo il sintomo di un problema culturale più vasto. Non siamo culturalmente pronti a frenare il disastro. E la responsabilità non è mai solo individuale. È collettiva. Riguarda noi tutti: genitori, famiglie, scuola, politica, informazione, chiesa. Nessuno escluso. A volte vediamo auto effettuare sorpassi come schegge, in pieno giorno, e non abbiamo neanche il tempo di prendere il numero di targa per segnalare alle forze dell’ordine talmente alta è la velocità. Lo Stato è intervenuto sotto il profilo del codice penale introducendo il reato di omicidio stradale, ma a quanto pare non basta. Ora la palla passa alla cultura della prevenzione: genitori e scuola. Di figli e studenti conosciamo le abitudini, le passioni, le tendenze. Entriamoci dentro, cerchiamo di capire e di analizzare. E poi interveniamo. Se rimarrà tutto come sempre non resterà altro che continuare a raccogliere nuovi dati delle vittime del futuro.  È tempo di metterci in discussione. È tempo di smettere di contare le croci e iniziare a costruire soluzioni vere. Perché dietro ogni numero, c’è una vita che non tornerà.

Matteo Lauria – Direttore I&C

 

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