Editoriale. Stupro di gruppo su ragazza a Palermo: dalla narrazione dei carnefici, la violenza come esercizio di potere

PALERMO. Il 7 luglio scorso si è consumato uno stupro di gruppo su una ragazza a Palermo, in una zona isolata del Foro Italico. Questa è riuscita a denunciare ma presto è giunto un disincentivo a tale difficile azione, come se non ce ne fossero abbastanza: solo ieri uno degli indagati è stato scarcerato.

Mi sono interrogata molto sul riportare o meno le esatte parole dei disumani. Poi ho capito che c’è bisogno di farlo. Dobbiamo entrare nel loro linguaggio – e se implica uno sforzo significa che ancora c’è speranza – per capire in che modo sentono e vedono le cose. Uno dei fallimenti della scuola è anche questo: non aver impartito agli studenti il peso delle parole e la scelta di quelle giuste. Solo successivamente, un’inesistente educazione sentimentale e sessuale.

Puttana. Chi di noi donne non è mai stata additata come tale? C’è almeno un uomo che nella nostra vita ci chiamate così perché abbiamo chiuso con lui, perché lo abbiamo rifiutato sessualmente, perché non abbiamo rinunciato alla nostra libertà di persona, perché ci siamo riconosciute entità autonome. Anche la vittima è stata definita tale, e dalla definizione si è fatto un salto di qualità: ne è derivato che non potesse vivere liberamente la propria sessualità, anzi, che non ci fosse bisogno di consenso per il rapporto. Hanno ristabilito il potere maschile del sessismo, rimettendola al proprio posto, quello designato dalla società patriarcale: totale sottomissione all’uomo.

Questa si chiama… su Instagram, ti giuro vero, questa è una p… ce la siamo fatta tutti, i ragazzi della via Montalbo eravamo tanti, una sassolata, io, Gabriele Trapani, il fratello di Giosuè, c’era Cristian un ragazzo delle case popolari e R… Eravamo un casino”

“L’amica sua l’ha lasciata sola, voleva farsi a tutti. Alla fine gli abbiamo fatto passare il capriccio”. 

“Ieri sera niente, se ci penso un po’ mi viene lo schifo perché eravamo ti giuro 100 cani sopra una gatta, una cosa di questa l’avevo vista solo nei video porno, eravamo troppi, sinceramente mi sono schifiato un po’, ma che dovevo fare? La carne è carne, gliel’ho abbagnato pure io il discorso…”.

(dalle chat degli arrestati)

100 cani sopra una gatta: No. 7 uomini sopra una donna. Gli stupratori sono persone come la vittima. Non possiamo e non dobbiamo far passare la loro narrazione: se animali, abbiamo solo istinto. In quanto esseri umani invece, sappiamo di possedere il controllo, non sfoghiamo istinto animale o un raptus violento: sfoghiamo il nostro potere, esercitiamo il nostro potere su un essere che abbiamo deliberatamente reso subordinato, profanando il suo corpo e la sua anima, o togliendogli la vita.

La carne è carne: torna il tentativo di associazione alle bestie. Donne e uomini non sono carne. Torna il tentativo di normalizzare un comportamento aberrante nascondendosi dietro all’istinto considerato incontrollabile poiché così conviene: mi viene lo schifo. Torna con forza l’assenza di un’educazione sessuale: una cosa di questa l’avevo vista solo nei video porno. Colpevole anche la famiglia, qui: quante sono disposte ad insegnare ai figli la stretta corrispondenza tra rapporto sessuale e consenso? Quanti sono disposti ad insegnare ad un figlio che questo può essere in qualsiasi momento revocato? ‘Senti che dobbiamo fare, ci vediamo?’ e ci siamo visti e abbiamo fatto sesso. Ieri sera l’abbiamo incontrata alla Vucciria con tutti gli amici ed è finita a schifio…”

E’ più facile invece demonizzare la pratica sessuale, come spesso purtroppo la religione ci induce a fare – stimolando quindi più curiosità nei confronti del sesso – e soprattutto l’autonomia di scoperta del ragazzo che approderà solo a quello che internet o chi per lui è in grado di offrire. E poi anche lui offrirà lo stesso, solo lo stesso.

L’ora di religione – ampiamente deludente ma non si può dire – dovrebbe essere urgentemente sostituita da un’educazione sentimentale e sessuale, così da non vedere più i maschi vittime dello stesso maschilismo (gli uomini non piangono, gli uomini non falliscono) e le donne vittime di relazioni abusanti e tossiche, e viceversa. Diminuirebbero i femminicidi, gli stupri, ogni forma di prevaricazione che genera violenza. Non è lodevole che per essere una brava persona si debba far riferimento solo e soltanto alla fede e in ogni caso, concepita  imposizione e come tale, è stata fallimentare. Perché non provare con la consapevolezza di se stessi e degli altri? Perché non stare attenti alle parole che i giovani utilizzano per descrivere il loro mondo?

Laddove non c’è corretta ed esplicita informazione qualcuno o qualcosa provvederà comunque a fornirla in modi anche poco ortodossi: i porno danno realtà distorta che il ragazzo o la ragazza proveranno a riproporre, con lo stupro, con la frustrazione per la performance o per il corpo. Dobbiamo urgentemente sdoganare questi argomenti e mostrare ciò che c’è da mostrare: non c’è debolezza di carne o di spirito, c’è una sacralità della vita che ci sta sempre più sfuggendo (Dopo si è sentita pure male, si toccava là sotto piegata a terra… ‘Chiamate un’ambulanza’, ma va cacaci la minchia l’abbiamo lasciata lì e siamo andati via…” )

Lei era tutta ubriaca: nelle chat torna periodicamente la colpevolizzazione della vittima, tipica della cattiva narrazione che si fa troppo spesso di un episodio di semplice comprensione, quale un grave reato con status alterato della donna, il che non è giustificazione ma aggravante. Un uomo, un essere umano che non sia così definito soltanto per mera categorizzazione di specie, aiuta una ragazza sotto l’effetto di sostanze, non la stupra. E tra quei 7, di Uomini, non ce n’era nemmeno uno. 

Questa non è che se ne spunta che l’avete stuprata? Stai attento a questi video” / “Ma infatti adesso li sto eliminando tutti, lo sto mandando solo a chi lo dovevo mandare perché non ne voglio sapere niente di questa storia…”:  la violenza di genere è questione di potere. Siamo partiti dall’appellativo Puttana e difatti, alla base, troviamo le battute sessiste, il catcalling, le discriminazioni sul lavoro, gli stereotipi, le molestie, gli abusi verbali, il revenge porn a cui siamo appena giunti, il victim blaming e shaming, e verso la punta dell’iceberg, quello che è più facile vedere: stupro, violenze e abusi fisici, emotivi, finanziari e per ultimo, alla punta, l’omicidio.

L‘oggettificazione della donna è una scala il cui primo gradino è costituito dal rapporto di subordinazione uomo-donna radicato nella società e legittimato dalle sue dinamiche, compresa la suddetta reazione delle donne: «Se l’è cercata».

Fino a quando persino le donne ripeteranno questa frase, non cambierà mai nulla, in bene si intende. Il fatto che ciò venga detto dalle donne va al di là di ogni preconcetto di solidarietà femminile, anzi, fa piuttosto capire come per difesa o per autoelevazione queste si vogliano distaccare da una realtà così tangibile – la sessualità non è un reato ma intrinseca nell’uomo quanto nella donna – attraverso la demolizione di un’altra donna, cercando appigli –  a stuprare è un uomo, non i vestiti che si portano, la droga o l’alcol assunto, l’imprudenza o l’atteggiamento – che non fanno altro che innalzare una bella statua al sessismo e al maschilismo quanto più se ne distanzino. Una giustificazione che si fornisce – sapendo di mentire – per sentirsi al sicuro, allontanando l’accaduto mentalmente per credersi immuni.

Riferendoci infatti al revenge porn – e anche in questo caso, macabro piacere derivante dalla visione del suddetto materiale molto richiesto nelle chat Telegram – ricordiamo che non è colpa di chi dà fiducia – se pensiamo ad una relazione in cui è avvenuta la ripresa di atti intimi – il fatto che venga tradita, e nemmeno se immeritata dà il diritto di comportarsi male.

Sono 75 i femminicidi da inizio anno, 75 solo in Italia. Donne che come ultima cosa hanno visto la violenza omicida dell’ex o dell’attuale compagno. E’ l’immagine drammatica di un paese a cui serve un’opera di rieducazione profonda. Avvilente è il fatto che molte di noi donne sperano di non avere una figlia femmina perché sanno di non poterla proteggere per sempre. Avvilente è ritrovarsi a dover loro insegnare ad uscire con lo spray antiaggressione, a non tornare a casa tardi da sole, ad abituarsi all’idea che molte cose non potranno farle in autonomia e serenità. Avvilente è farle crescere sapendo che potrà esserci un mostro dietro ad un padre, un compagno, un amico. E che forse non riusciranno a riconoscerlo in tempo. Avvilente è dover fare prevenzione su di loro, rivelando che un incontro chiarificatore può essere deleterio, che a volte spiegare non è necessario e ribellarsi ha un prezzo. Avvilente è dover stare attenti a possibili segnali di rischio, trovare una scusa per controllare che tua figlia non abbia addosso o negli occhi segni di maltrattamenti. E pregare di saperli riconoscere.

Avvilente è che mentre insegniamo agli uomini a non uccidere, a non stuprare, il processo lungo implica che parallelamente si continui l’opera di prevenzione sulle donne. E se fossi un uomo, mi vergognerei di essere considerato carne, istinto, voluttà. Mi vergognerei di essere concepito disumanizzato.

Di questo stupro e di altri racconti di orrore ne è macchiato ogni genitore, la scuola e la società. Ripartiamo da questo video, parliamo agli adulti e ai bambini. I nostri figli, i nostri studenti, non impareranno le cose da grandi da soli, impareranno selettivamente quanto capita. Che i genitori possano smettere di deresponsabilizzare i figli, affinché paghino le proprie colpe. Affinché si migliorino e migliorino il mondo in cui viviamo. E che tutte le vittime possano trovare sostegno nel percorso di denuncia, senza che nessuno sia più giudicato per il tempo di elaborazione del trauma o per la reazione ad esso. E’ questo il potere che dobbiamo esercitare: il potere di arginare la violenza e di non esserne complici.

1522: numero Antiviolenza Donna e/o figli

Virginia Diaco

 

 

 

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