Da tempo la discussione sulla sicurezza a Corigliano Rossano ruota attorno a episodi che producono ansia e tensioni. A Schiavonea si sono verificati e continuano a verificarsi scontri, aggressioni, ferimenti con armi da taglio. A Rossano l’estate scorsa ha lasciato il segno con colpi d’arma da fuoco in situazioni che hanno provocato una sorta di terrorismo psicologico nella comunità. La popolazione vive un crescente senso di vulnerabilità.
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Quando scrissi, questa estate, della necessità di valutare l’impiego dell’esercito come supporto alle forze dell’ordine, venni accusato di voler militarizzare il territorio. Un’accusa che trovai ingiusta perché la proposta nasce da motivazioni che trovano riscontro nei fatti di cronaca. Non chiedevo blindati o barriere, ma una presenza visibile, regolare, capace di ristabilire ordine e serenità. La sola presenza di una camionetta e di personale armato costituisce un deterrente per chi vive di violenza. Lo dimostrano molte realtà che hanno adottato questo tipo di presidio. Sia chiaro, la presenza dell’esercito in Italia non è solo nelle città ritenute ad alta densità mafiose, ma è anche in centri urbani tendenzialmente tranquilli.
Gli incendi al cantiere del nuovo ospedale della Sibaritide hanno imposto l’impiego di sedici unità in turnazione tra polizia, carabinieri e Guardia di finanza dedicate alla vigilanza continua. Si tratta di risorse sottratte al territorio, proprio mentre i quartieri più complessi richiedono controlli costanti. L’organico attuale non è sufficiente per una copertura efficace.
Perché allora tanta esitazione nel formulare una richiesta formale di supporto? Le ragioni sono note. Il timore di essere etichettati come fautori di un clima repressivo. La paura di ammettere che esiste un problema serio. La preoccupazione politica di apparire deboli. Ma la sicurezza non è un esercizio di immagine. La sicurezza è un diritto. Meglio proteggere la reputazione o tutelare la vita delle persone?
Occorre un atto di responsabilità. Di fronte a fatti ormai ricorrenti, la richiesta di rinforzi non è una resa, ma una scelta necessaria. La procedura è definita. Il Comune prepara una relazione documentata con episodi, dati, zone critiche e organici sottratti al servizio ordinario. Il dossier viene inviato alla Prefettura. Il Prefetto valuta, confronta le evidenze, ascolta le forze dell’ordine e, se lo ritiene, trasmette la richiesta al Ministero competente. Sarà poi lo Stato a decidere tempi, modalità e durata dell’eventuale impiego. Quando un territorio chiede tutela, il silenzio non può essere la risposta. La sicurezza non si ottiene con frasi ad effetto, ma con scelte chiare.
Matteo Lauria – Direttore I&C





