(Fonte Francesco Forciniti). Il paradosso più clamoroso della vicenda Baker Hughes è che l’unico motivo per cui si voleva consegnare il Porto di Corigliano a questi signori era costituito dal fatto che in cambio avrebbero portato dei posti di lavoro, eppure nessuno sapeva quante persone avrebbero effettivamente assunto, e l’azienda americana era sempre stata molto attenta nel tenersi le mani libere, non prendendo impegni ufficiali e rifiutandosi di presentare piani occupazionali o qualsiasi altra forma di documento dal quale si potesse evincere quanti posti di lavoro avrebbero dato.
Se il lavoro era la contropartita per l’occupazione di una nostra pregiata infrastruttura pubblica, accettare senza garanzie e riserve sarebbe stato un po’ come firmare l’atto di vendita della propria casa lasciando in bianco lo spazio per inserire successivamente l’importo del pagamento.
Non solo: la totale assenza di un piano regolatore portuale e l’inesistenza di un benché minimo documento programmatico sulle prospettive del porto avrebbe tolto al territorio qualsiasi garanzia sulla possibilità di far convivere altri investimenti e altre attività con gli enormi capannoni della Baker Hughes.
E il sindaco, che in passato ho criticato per la sua eccessiva morbidezza sulla questione ma a cui oggi riconosco di avere fatto il suo dovere di rappresentante del territorio, si è semplicemente limitato a chiedere il rispetto delle leggi e delle prescrizioni urbanistiche, che non possono essere derubricate a meri formalismi di poco conto come l’ammiraglio Agostinelli ha detto ieri. E trovo gravissimo che un uomo delle istituzioni possa manifestare una tale insensibilità verso quelle procedure e quelle norme che differenziano uno stato di diritto da un’aristocrazia nella quale una cerchia ristretta di potenti dispone a suo gusto e piacimento della cosa pubblica.
Senza contare che la Baker Hughes non ha nessun altro stabilimento AL MONDO sulle banchine di un porto, ma nonostante ciò si è sempre rifiutata di “abbassarsi” a concertare con il territorio le condizioni dell’investimento, e ha sempre assunto l’atteggiamento arrogante e protervo di chi era disposto a venire qui solo se gli avessero permesso di fare i padroni imponendo le loro condizioni su tutta la linea.
Insomma, a conti fatti gli estremisti non erano quelli del comitato civico, non erano gli amministratori del Comune che pure hanno provato a dialogare, ma erano proprio quelli della Baker Hughes, a cui è bastato ricevere la più timida e semplice istanza del territorio di concordare le condizioni dell’investimento per scappare via a gambe levate. Per la serie “o vi fate trattare come una colonia di disperati, o non se ne fa nulla”.
E mentre oggi il carrozzone politico e sindacale si leva con una voce quasi unanime nel pregare addirittura l’azienda di ripensarci, io vorrei offrire un umilissimo consiglio non richiesto soprattutto al presidente Occhiuto e all’ammiraglio Agostinelli: anziché venire qui a tentare di rifilarci cattedrali nel deserto totalmente scollegate dall’economia del territorio, senza garanzie occupazionali e senza strumenti di programmazione, fate ciò che non avete fatto fino ad ora: preparate il piano regolatore del porto e soprattutto portateci il progetto di collegamento con la ferrovia e con la vicina zona industriale, affinché il porto possa finalmente diventare strumento a disposizione di tutti, e non proprietà privata al servizio di pochi padroni con i verdoni. Che mi piace pensare non siano ancora sufficienti a comprare la dignità.
2 risposte
Bravo, hai descritto bene il pensiero dei cittadini che amano e difendono il loro territorio.
Il rispetto delle regole, almeno quello.
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